venerdì 18 novembre 2011

"IO PROTEGGO I BAMBINI" - Un anno dopo


E' passato un anno da quando con i Podisti da Marte ho partecipato alla Giornata mondiale dei Diritti dell'Infanzia a Milano e domani si replica, ma questa volta a Genova, così tragicamente colpita dall'alluvione all'inizio di questo mese. E quindi Terre des Hommes e i Podisti da Marte hanno nuovamente unito le forze e deciso di destinare il ricavato delle iniziative genovesi (cena al Galata Museo del Mare + Maratona del Fiocco Giallo) alla Scuola Materna Chighizola.

E allora sono PRONTA per salire sul "treno marziano" per portare il mio SOSTEGNO ai genovesi e in modo particolare a tutti i bambini!


Di seguito il mio articolo relativo alla missione milanese "Io proteggo i bambini" del 2010

Mille casi di violenza sessuale su minorenni, 33 bambini o adolescenti uccisi e 3.434 persone denunciate o arrestate per questo tipo di reati: sono questi i dati per niente rassicuranti che la Polizia di Stato ha diffuso nel 2009. E se si pensa che si parla dell’Italia che in fin dei conti è un Paese moderno e sviluppato, la preoccupazione aumenta.
Per questo, in occasione della Giornata Mondiale del 19 novembre per la Prevenzione di tutte le forme di violenza sui minori (il simbolo è un fiocco giallo), e della campagna quindicinale “Io proteggo i bambini” lanciata da “Terre des Hommes”, che da 50 anni opera per proteggere i bambini di tutto il mondo e attualmente è presente in 70 Paesi per assicurare a ogni bambino scuola, educazione informale, cure mediche e cibo, anche la città di Milano ha voluto fare qualcosa per sensibilizzare l’opinione pubblica affinché non si abbassi la guardia sul fenomeno ma si aumenti l’impegno e si rafforzino le misure per la protezione dei minori.
La prima fra le molte iniziative organizzate e patrocinata dal Comune è stata la “minimaratona in giallo” che il 13 novembre ha visto correre per le vie del centro storico i “Podisti da Marte”, la Critical Mass capitanata da Fabrizio Cosi che ogni mese percorre circa 10 km a passo libero, appoggiando di volta in volta un’associazione benefica.
Con la loro solita generosità i “marziani” hanno abbracciato questa giusta causa e quindi la proposta di “mettersi in giallo”. I fedelissimi del gruppo e gli esordienti erano tantissimi e tutti indossavano una maglietta gialla.
Tra di loro si poteva riconoscere inoltre l’attrice Andrea Osvart, testimonial di “Terre des hommes”, che insieme ai “marziani” ha regalato sorrisi e cercato di contagiare le persone incontrate nelle prime ore di un sabato mattina milanese.



Al termine di questa nuova “missione” ho potuto incontrare Fabrizio Cosi che con la massima disponibilità ha risposto con entusiasmo alle mie domande.

Chi sei tu e chi è tutta questa gente che c’era qui oggi?
Io sono Fabrizio Cosi e sono colui che ha inventato questo esperimento sociale che si chiama “I Podisti da Marte”. Noi da quasi due anni, perché abbiamo cominciato nel febbraio 2009, corriamo nel centro di Milano convocandoci con il passaparola, mail, facebook e conoscenze personali e ogni volta corriamo per supportare una Onlus diversa. Quindi in pratica facciamo un’azione di sensibilizzazione nostra, quindi già noi che corriamo, e anche di Milano. Mentre corriamo regaliamo dei fiori finti sui quali è spillato il messaggio di supporto a favore della Onlus per la quale corriamo e quindi regaliamo anche un sorriso ai cittadini, ai turisti, anche e soprattutto giapponesi, e ai passanti che incontriamo. Percorriamo tutto il centro di Milano che vuol dire Corso Vittorio Emanuele, la Galleria del Duomo, il Palazzo Reale e scendiamo anche nella metropolitana, anche se oggi non l’abbiamo potuto fare perché avevamo i vigili al seguito che non potevano scendere con le moto. Lo facciamo una volta al mese e le persone che erano con noi oggi supportavano la Onlus “Terre des Hommes”. Questa è la settimana dei diritti internazionali del bambino, quindi la campagna era “Io proteggo i bambini”. L’abbiamo chiamata “minimaratona del fiocco giallo” perché i colori dei marziani sono il giallo, il rosso e l’arancio e per simboleggiare l’azione abbiamo ‘nastrato’ di giallo alcuni monumenti di Milano: quindi il cavallo di Piazza Duomo, la Fontana di Piazza San Babila e la statua di Leonardo in piazza della Scala”

Chi le sceglie queste associazioni ogni volta e in base a quale criterio?
Nel primo periodo le sceglievo io perché non ci conosceva nessuno. Adesso sono loro che scelgono noi, che vengono a cercarci e questo certamente ci fa molto piacere e noi certe volte ne supportiamo addirittura due alla volta. Nel senso che corriamo per una però magari facciamo la raccolta di materiale per un’altra prima di partire.
                                                                                                                                                             
Questa volta per esempio è stato coinvolto il Comune. E’ sempre così?
Questa era una campagna importante e quindi “Terre des Hommes” ha ottenuto il patrocinio dell’Assessorato alla famiglia del Comune di Milano, del Ministero delle Pari Opportunità e dei Comuni italiani. Quindi in questo caso era una cosa organizzata con autorizzazioni e quant’altro. Noi dal canto nostro corriamo liberamente fermandoci ai semafori, quindi rispettando il Codice della strada”

Soddisfatto quindi di questa missione?
Soddisfatto della sensibilizzazione e dell’entusiasmo che è quello che ci dà la carica.


Come ultima cosa segnalo il sito www.podistidamarte.it e se anche voi avete qualcosa da dire… ditelo con un fiore, indossando una maglietta con i colori ufficiali dei marziani e unendovi al gruppo!





domenica 13 novembre 2011

Vivere la vita con entusiasmo, ragione e sentimento


Conoscevo già questa stupenda poesia, un vero inno alla vita, perché venga vissuta sempre con entusiasmo e passione... ma sentirla recitata ieri sera mi ha emozionato tantissimo e ricordato quanto poco in realtà basterebbe fare  per non morire dentro, a poco poco.
Piccoli gesti, un sorriso e qualche parola per esprimere quello che ci detta il cuore; viaggiare e leggere che ci fanno muovere, andare oltre noi stessi e ci arricchiscono interiormente; essere curiosi e rischiare anche quando il rischio ci fa paura e soprattutto mai perdere pazienza e speranza perché sono quelle che  ci porteranno a realizzare i nostri sogni.




 Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda: a
nche se erroneamente attribuita al poeta cileno dato che l'autrice è Martha Medeiros, scrittrice brasiliana)



giovedì 3 novembre 2011

La "mia" Etiopia




Sono già passate alcune settimane dal mio ritorno in Italia, ma ancora oggi, quando la mattina apro gli occhi, posso constatare quanto l’esperienza in Etiopia mi abbia lasciato, già a partire dalla gestione del tempo e dallo scandire delle ore. Già, il tempo, quello che noi riteniamo non essere mai abbastanza, rapiti come siamo dalla quotidianità frenetica fatta di impegni lavorativi e familiari. Eppure è la nostra vita e anche a me sembra normale che sia così, ma mi è bastato andare in Etiopia, seppure solamente per una ventina di giorni, per realizzare come la suddivisione della giornata nelle 12 ore del giorno e della notte, l’uso del calendario giuliano piuttosto che quello gregoriano (hanno da poco festeggiato l’arrivo dell’anno 2004) e il loro stile di vita basato su ritmi lenti e cadenzati possano coinvolgerti al punto tale che a distanza di tempo ancora ne “risenti”.
Poche righe non sono certamente sufficienti per raccontare l’emozione di qualcosa vissuto intensamente. E questo perché ho avuto la possibilità di vivere l’Africa lontano da ambienti “colonizzati dai turisti”.
Potrei parlare dei molteplici colori che si trovano in natura, così come nei tessuti dei loro abiti tradizionali; delle atmosfere e degli odori di incenso e di spezie che si propagano nell’aria; del “caldo africano”che tutti abbiamo sentito nominare migliaia di volte nei telegiornali ma che, ironia della sorte, in Etiopia non è arrivato (è stato infatti uno shock rientrare in Italia a fine agosto, lasciando temperature gradevoli mai al di sopra dei 23 gradi, per arrivare in quello che era un vero forno); della vegetazione e degli animali incontrati lungo i vari tragitti in macchina, che mi hanno permesso di capire che i protagonisti sono loro e non tu, motorizzato; dei ritardi e delle mancanze tipicamente africani che si ritrovano in qualunque tipo di situazione, lavorativa e non, come ad esempio arrivare in ritardo ad un appuntamento “perché piove”; della mentalità così diametralmente opposta alla nostra (dove ad esempio sembra logico costruire alberghi per i turisti ma poi arrestarli se fanno foto al mercato... chi è quindi il turista che, sapendolo, ci fa ritorno o pubblicizza l’esperienza?) e della disorganizzazione latente, anche se ho capito che l’Africa è così: funziona a modo suo e soprattutto al ritmo suo; della musica sia sacra che non, che viene suonata e cantata con gioia manifestata espressamente attraverso balli e battiti di mani da giovani e non; del semplice salutarsi e chiedersi a vicenda come si sta che richiede comunque molti passaggi per un rito assai più complesso del nostro stile più secco e diretto se non addirittura omesso; delle difficoltà oggettive nel parlare non conoscendo io la loro lingua e loro pochissimo l’inglese, ma è stato bello vedere come il linguaggio non verbale davvero possa farti comunicare con qualunque popolo e nella maniera più semplice e genuina; dei ragazzi che ti chiedono a ripetizione, come un gioco che li diverte, come ti chiami e che quando ti vedono arrivare in lontananza ti corrono incontro e fanno a gara per abbracciarti, tenerti per mano o giocare con te; del fatto che noi “bianchi”, riconoscibili e identificabili come stranieri (e richiamati con un “You you you” dai bambini lungo la strada, dove “you” sta proprio a indicare “straniero”), ai loro occhi siamo provvisti di quantità di denaro o comunque di introiti che loro (nella maggior parte) non vedranno mai in tutta la loro vita e quindi, come in un meccanismo innato, ti chiedono ripetutamente e insistentemente di dare loro denaro, indumenti, una “caramela”, una “mastica” oppure dei “biscuits”, nel loro linguaggio che spesso diventa un misto di amarico e inglese per farsi capire; ma anche del contrario e cioè della loro ospitalità e cordialità, perché se io sono andata lì per fare un’esperienza di volontariato dedicando loro il mio tempo, le mie conoscenze e capacità nel limite del possibile, le persone con cui sono entrata maggiormente in contatto, mi hanno accolta con calore, con gioia mi hanno invitata a bere del caffè a casa loro, a mangiare injera e popcorn dolci e mi hanno regalato i loro prodotti tipici da portare in Italia, e questo nonostante i problemi quotidiani (economici e non solo) che li affliggono. Le cose da dire sarebbero veramente un’infinità, ma in cima a tutto questo elenco non posso che mettere i sorrisi donati e ricevuti con spontaneità e gioia, che non possono che ricordare costantemente che siamo tutti fratelli e che l’amore può veramente superare le difficoltà create/volute dall’uomo.
Credo infatti che l’entrare in contatto con le persone del luogo sia stata la più importante lezione di vita e di amore che potessi immaginarmi di ricevere. E sicuramente è questa l’emozione più grande che porto nel cuore.
“Quando tornerai, sentirai anche tu il “mal d’Africa”” mi era stato detto prima della partenza da chi in Africa ci era già stato. Anche io? E perché?  E’ stato normale interrogarsi su che cosa sia questo “mal d’Africa” di cui si è sempre sentito parlare. Ebbene sì, ora anche per me non è più un mistero! E anche se è davvero difficile da spiegare ai “non malati”, posso affermare con certezza che i suoi sintomi si sono manifestati fin dal ritorno alla mia quotidianità, ma che di buono hanno che ti infondono una nuova visione della vita, carica di valori come la positività, la speranza, l’amore donato e un pensiero rassicurante che, se Dio vorrà, mi porterà a far ritorno in quella meravigliosa terra.