sabato 21 gennaio 2012

MusicalMente... un'emozione


Anno nuovo, ritmi nuovi. Già, il nuovo anno mi ha portato un lavoro… dopo tanto tempo che ero a casa, è arrivato questo bellissimo regalo sotto l’albero. Tuttavia la mia quotidianità è cambiata e il tempo per fare le cose che più amo al mondo, è sempre troppo poco. E così anche il blog è stato temporaneamente abbandonato. Eppure cercavo un’ispirazione per un post. La sensibilità verso ciò che mi emoziona di più è sempre attivata e così, di punto in bianco, è arrivata l’idea per il primo post dell’anno. A proposito di ritmo.

Niente di straordinario, niente di nuovo, nessuna scoperta, ma semplicemente l’approfondimento di un’emozione che provo ogni volta che li sento suonare… già, i ragazzini rom che girano per le carrozze della metropolitana milanese suonando il loro violino. 
Emozione provata la prima volta che li sentii un paio d’anni fa ed emozione rinnovata ogni volta che casualmente entrano nella mia carrozza durante i miei viaggi nel sottosuolo milanese.
Sono quattro, chissà se sono fratelli, cugini o semplicemente amici che vivono nella stessa “comunità”. Di sicuro sono rom e di sicuro quel Canon in D di Pachelbel l’hanno imparato a suonare quando ancora non raggiungevano il metro d’altezza. Ed è vero, è sempre e solo quello che suonano, però, sarà che il brano sia di per sé stupendo (nonché conosciutissimo) e che loro lo sappiano suonare, ogni volta mi emoziono a tal punto che mi viene la pelle d’oca.
Secondo me tutto quello che ti emoziona al punto da farti venire la pelle d’oca è un’emozione vera, perché da una sensazione interna viene trasmessa e resa manifesta anche esteriormente.
E così mi sono posta due domande: come mai i rom sono tanto portati per la musica? E come mai ci si emoziona così tanto per un buon brano musicale?
Alla prima domanda mi ha risposto il buon Franz Liszt che in un saggio del 1859, a proposito degli zingari scrisse: “Dotati di un senso musicale d’incredibile profondità, certamente sconosciuto a qualsiasi altro popolo”.
Ed è vero, perché i rom non potrebbero vivere, morirebbero senza uno strumento musicale. Infatti utilizzano con grande passione e capacità il linguaggio musicale basando la costruzione dei brani su due elementi di fondo: l’apprendimento, come per la lingua parlata, di arie e melodie popolari e l’estro individuale particolarmente esaltato dalla pratica molto frequente dell’improvvisazione. Difatti è risaputo che i bambini imparano a suonare uno strumento – il violino, piuttosto che la chitarra o la fisarmonica – fin da piccoli, spronati dalle tradizioni familiari, da un genitore o da un fratello che insegna loro a suonare come da usanza, ma senza conoscere le note e per andare in strada o sui vagoni della metro a suonare a memoria per chiedere l’elemosina. Ciò fa parte della loro cultura nomade, ma non è questo il punto che volevo trattare. Quanto invece il fatto che a mio avviso l’arte spesso venga eseguita in maniera migliore se non c’è stato un vero insegnamento, uno schema da seguire, delle regole, corsi ed esami.
I più grandi geni della storia dell’umanità a scuola andavano malissimo, ad esempio e secondo me l’arte (in generale, non parlo solo della musica) è una materia per la quale uno deve principalmente essere portato. In maniera naturale e istintiva. Successivamente se a questa passione ed inclinazione naturale si vogliono dare delle regole, ben venga, ma io sono dell’idea che non ci sia niente di più terribile di un artista che ha frequentato tutte le scuole per diventarlo, ma che poi manca dell’assoluta passionalità, creatività ed emotività per eseguire al meglio la propria professione.
Invece per quanto riguarda la cosiddetta pelle d’oca, la risposta chiaramente sta nel nostro cervello.
Infatti secondo gli studi effettuati da un neurologo canadese, il cervello dell'uomo reagisce alla musica con l'attivazione di alcuni centri del piacere, una reazione che avviene anche durante le cosiddette "attività gratificanti", come l'assunzione di droga, mangiare o l'attività sessuale.
Inoltre lo studio ha evidenziato che i professionisti della musica ascoltano in modo diverso rispetto ai semplici appassionati. I primi hanno un approccio analitico, i secondi emotivo.
Tendenzialmente l’approccio emotivo è prerogativa degli incompetenti che, non avendo una preparazione specifica, rispondono agli stimoli di una composizione musicale in modo diretto. Un crescendo fa aumentare il battito cardiaco, un passaggio veloce - non necessariamente di grande virtuosismo - crea stupore e ammirazione. Una melodia struggente commuove subito, eccetera. Il professionista, invece, ha un ascolto analitico. Ogni nota che sente deve trovare una collocazione nella struttura del pezzo. Durante l'ascolto il cervello attua una sorta di decostruzione continua. Se il brano è per orchestra vengono individuati i diversi timbri, quindi collegati ai rispettivi strumenti, poi viene fatta una valutazione sulla qualità dell'esecuzione. Alla fine, se tutto procede senza intoppi, arriva una briciola di emozione.
Tuttavia è emerso che non è così per tutti e per fortuna molti professionisti non hanno mai perso l'ascolto emotivo.
Perché dico questo? Perché sebbene io non sia una professionista e anzi, abbia abbandonato il mio caro vecchio pianoforte da anni, credo di collocarmi in questa “fascia intermedia” di persone: fra il professionista e l’incompetente. Perché dopo 8 anni di pianoforte, anche se vissuti in maniera discontinua e spesso svogliatamente, non posso certamente definirmi incompetente ed infatti con gli anni ho realizzato come in un brano musicale ascoltato per la prima volta, qualunque sia il genere, ascolto prima la musica (e ammetto di essere fortemente condizionata dal suono del pianoforte, in primis e poi da quello del violino o della chitarra), POI le parole, se si stratta di una canzone. Questa cosa l’ho realizzata proprio quando gli amici mi chiedevano: “Hai sentito che bel testo?” oppure “Questa canzone è una poesia, ha delle bellissime parole!” e io mi rendevo conto che non l’avevo minimamente ascoltata in quel senso. Ed è così tuttora. Ascolto un nuovo brano per ascoltarne la musica e se quella mi convince o meglio, mi emoziona, allora passo ad ascoltare le parole. Il mio Ipod contiene più di 300 brani ma sono tutti, proprio tutti stati scelti al secondo ascolto e solo se la musica mi ha trasmesso un’emozione. 

Per chi non sapesse o semplicemente non si ricordasse quale è il Canon in D di Pachelbel, qui di seguito il video di una delle tante esecuzioni che ci sono in Youtube