Con il lavoro e le mille incombenze quotidiane ho trascurato
il mio blog. A marzo avrei voluto scrivere un post sulla comunicazione, sull’investimento
in comunicazione che è un tema a me tanto caro quanto vicino per interesse, per
studio e per lavoro, ma me ne è mancato il tempo, purtroppo.
Quindi eccomi in aprile e a un giorno dalla Pasqua. La Pasqua
intesa nel suo vero significato e/o come occasione per pensare ai valori
fondamentali per un vivere sereno.
Chi non vorrebbe avere o ritrovare pace e serenità!? Di
questi tempi credo un po’ tutti noi, ma il mio pensiero va a chi ne avrebbe
veramente bisogno perché non sa nemmeno che cosa significa vivere in pace,
svegliarsi sereno, avere qualcosa da festeggiare.
Eccomi quindi a quasi 8 mesi dalla mia prima esperienza in
Etiopia ed eccomi a ripensare a tutte le persone che ho incontrato in quelle
settimane.
Ripenso ai bambini, ai loro sorrisi, a quanto la tua semplice
presenza possa fare. Sì, perché la presenza di una persona che fa un viaggio di
migliaia di chilometri soltanto per passare del tempo con loro considerandoli
meritevoli, degni, importanti nonostante spesso siano i “dimenticati”, gli
emarginati e gli indegni dagli occidentali, è il vero aiuto di cui necessitano.
Io parlo per esperienza personale degli etiopi, ma penso che
la situazione sia la stessa in tutta l’Africa più povera. E non solo in Africa.
Difatti sono qui a scrivere questo post per una serie di “circostanze”
successe nelle ultime due settimane: la lettura di un libro scritto da un mio
amico; una pubblicità vista per caso in metropolitana e un concerto insolito programmato
un po’ all’ultimo.
Dicevo, un libro. Si intitola “Dall’altra parte del mondo” ed è stato scritto dal mio amico Dario Maresca che sei anni fa si avventurò in India per un mese.
Dicevo, un libro. Si intitola “Dall’altra parte del mondo” ed è stato scritto dal mio amico Dario Maresca che sei anni fa si avventurò in India per un mese.
Il libro racconta di questa sua esperienza dall’altra parte
del mondo, in un ambiente completamente diverso da quello della nostra
fortunata quotidianità e che, nonostante le varie problematiche riscontrate,
gli hanno lasciato dentro un’emozione che dura tutt’oggi tanto da pubblicare un
libro di “appunti” anche a distanza di così tanti anni.
Parlo di questo libro non perché l’ha scritto un amico, ma
perché leggendolo ho potuto rivivere la mia esperienza in Etiopia. Sembra
strano, forse, perché l’India non è l’Etiopia, perché l’Asia non è l’Africa, ma
la maggior parte delle esperienze, dei disguidi, delle impressioni raccontate,
sono le stesse che io ho vissuto in Etiopia e che in parte avevo descritto nel
mio post (leggi qui: http://carlaeimondiparalleli.blogspot.it/2011/11/sono-giapassate-alcune-settimane-dal.html)
Le prime impressioni, la povertà, il degrado, le malattie, l’emarginazione,
le differenze fra chi ha dei possedimenti (fra cui case, animali, coltivazioni)
e chi affatto, la vita della missione, i bisogni materiali e gli aiuti
umanitari, i problemi quotidiani legati alle condizioni meteorologiche e alla
sopravvivenza, dal bisogno di nutrirsi alla necessità di acqua e luce spesso
mancanti, le diverse religioni e l’opera dei missionari, i mezzi di trasporto e
il diverso concetto di tempo… sono tutte cose che ho compreso essere simili se
non uguali.
In modo particolare vorrei riportare alcune frasi:
“…noi dalla pelle bianca siamo per loro continua fonte di
divertimento e di attrazione. Non appena usciamo dall’ostello ci ritroviamo
attorno un nugolo di bambini urlanti, i quali continuano a ripetere come una
cantilena le loro richieste: “Bradar, chocolate! Bradar, pipi! Anti, pen! Anti,
car!” Brother e aunty ci chiamano, fratello e zietta, e ci chiedono
continuamente cioccolato, palloncini, penne, macchinine. Purtroppo gli inglesi
e chissà quanti occidentali prima di loro hanno diffuso l’abitudine di
dispensare continuamente doni. Noi abbiamo una valigia piena di questo genere
di cose, soprattutto materiale per la scuola e magliette, ma d’accordo con i
gesuiti siamo contrari ad una distribuzione immotivata e casuale e quindi
INGIUSTA ED ELEMOSINANTE, così dobbiamo continuamente ripetere “No pen, no
chocolate”. Quello che abbiamo lo consegniamo alle sisters perché pensino loro
a farlo avere a chi ne ha più bisogno”
Sembra riduttivo rispetto alle 100 pagine scritte, ma è
sicuramente il concetto chiave di un viaggio all’insegna del volontariato e
dell’aiuto verso il prossimo. Vale in India, vale in Etiopia, vale in tutti i
Sud del mondo.
Ecco perché è stato emozionante leggere il suo libro, perché
immancabilmente, una volta terminato, si è rifatto vivo il “mal d’Africa” e la
profonda voglia di tornare laggiù. Probabilmente per provare (e capire) questo,
è necessario che si faccia un viaggio di questo tipo, per vedere e toccare con
mano.
Il libro di Dario mi ha fatto compagnia per due settimane
durante i miei viaggi in metropolitana di ritorno a casa dopo il lavoro e il
caso ha voluto che proprio durante uno di questi viaggi, capitassi nella
carrozza dove avevano appeso un piccolo manifesto che pubblicizzava una mostra
in corso a Milano. Il mio occhio è caduto subito su questo piccolo manifesto,
semplicemente perché ha riconosciuto lo stile della croce riprodotta. L’inconfondibile
stile delle croci etiopiche.
Non ho avuto un attimo di incertezza e anzi, come in un
flash, mi sono ricordata quando le ragazze del laboratorio della missione di
Dilla ci avevano portato diverse croci da portare in Italia e di come io e
Marino ce le eravamo divise per regalarle a parenti e amici. Erano diverse per
forma, dimensione e colore, ma tutte fatte a mano e con uno stile particolare,
come questa croce riprodotta sul manifesto. Per cui mi sono avvicinata al
manifesto per leggere il testo stampato accanto all’immagine, tanto da scoprire
che si tratta di una mostra inaugurata il 14 marzo presso il Museo dei Cappuccini
di Milano e aperta fino al prossimo 1° luglio.
Vi sono esposti alcuni straordinari oggetti
appartenenti proprio alla cultura, all'arte e alla fede dell'Etiopia, di ieri
come di oggi. Si tratta di paramenti liturgici, di oggetti rituali, di immagini
sacre: reperti raccolti dai missionari cappuccini durante la loro presenza
sugli altopiani di quello straordinario Paese.
Ma nucleo centrale della rassegna sono proprio le
celebri croci, forse il tratto più caratteristico del cristianesimo etiopico.
Croci di varie tipologie e dimensioni, realizzate in materiali diversi ma
sempre bellissime.
Alcune fra queste croci, infatti, appaiono essenziali,
stilizzate, filiformi perfino. Altre invece risultano essere particolarmente
elaborate, maestose nella loro fisionomia, solenni. Quasi nessuna di queste
croci, tuttavia, presenta la figura di Gesù, come in una sorta di mistico
pudore, dove il Salvatore è evocato più che rappresentato. Molte croci
etiopiche, invece, mostrano un particolare rigonfiamento verso la base, come
una sorta di tabernacolo, o, meglio, di piccolo sepolcro. Altre croci ancora,
invece, mostrano come dei rami, come dei tralci, in un'esuberanza di forme e di
decorazioni. È la croce che da patibolo si trasforma nell'albero della vita,
che tutto rinnova, che tutto nutre.
E’ un arte sacra al contempo elegante che meraviglia e
anche se, come dicevo a inizio post, le incombenze quotidiane sono sempre
tantissime e il tempo sembra sempre troppo poco, spero fortemente di poter
andare a visitare questa mostra unica nel suo genere, prima della sua conclusione.
Perché l’Etiopia come l’India sono parte dei Sud del
mondo. Quei “Sud” che Fiorella Mannoia canta nella suo ultimo album e nel tour
in giro per l’Italia. E quando è venuta a Milano, io c’ero.
Non sono una sua fan, né tantomeno conoscevo questo
suo ambizioso progetto, ma la proposta di andare al concerto l’ho abbracciata e
ne sono uscita arricchita. Non per essere stata a un concerto, ma per il
messaggio che la cantautrice ha trasmesso; non per vocalizzi e orpelli, ma per i contenuti testuali
e musicali dei brani.
In un
brano come “Quando l’angelo vola” si respira di tutto, dal Mediterraneo, all’Oriente,
dal Brasile all’Africa. Infatti il brano è dedicato al presidente del Burkina
Faso Thomas Sankara, assassinato nel 1987, uomo e leader molto carismatico per
tutta l’Africa Occidentale Sub-Sahariana.
Ma
anche pezzi come “Luce” e “Non è un film” cantato in collaborazione con Frankie
HNRG, fanno compiere all’ascoltatore un
percorso importante in queste terre piene di contraddizioni, fatte di paradiso
e di inferno dove vivere è sinonimo di resistere o fanno riflettere sulle dure
condizioni di coloro che partono “all’avventura” lasciando la propria terra e rischiando
la vita perché non hanno null’altro da perdere e di come poi sia difficile
ottenere il rispetto e l’uguaglianza nella nostra società.
“Sud”
racconta tutto questo, la fatica e la ribellione, le disuguaglianze economiche,
la mancanza di rispetto e di dignità, la
malinconia e la nostalgia. Ma anche di quel Sud che con le sue storie e la sua
musica riscalda il cuore e dove, a volte, dietro la povertà e la miseria c'è
tanta dignità.
Sono
brani profondi che mi hanno emozionata e mi hanno ricordato il perché sono
partita per l’Etiopia come volontaria.