venerdì 10 agosto 2012

Effetto "sliding doors"


Ma voi ci credete al destino? Ci credete che, se anziché compiere una determinata cosa in uno specifico istante ne fate un’altra, il vostro destino cambia rotta?
L’avete visto il film del titolo di questo post? E’ quindi solo un film o c’è del vero?
Personalmente ho sempre pensato che ognuno di noi ha un destino segnato e che se anche per un contrattempo, una certa cosa non accade in un determinato istante, prima o poi accadrà perché è “scritto” nel libro del destino di ciascuno di noi.
Un po’ quello che viene raccontato in “Final Destination”, sempre per citare un film, che, sebbene la maggior parte l’abbia additato come un filmaccio di serie B, secondo me ha alla base una trama profonda. Quella che per l’appunto ognuno di noi ha un proprio destino e non può pensare di essere il deus ex machina della propria vita… per sempre.
Questa premessa per raccontarvi quello che mi è accaduto oggi.
Oggi ho rimorchiato. Forse dovrei dire che ho fatto colpo?!? Mah, non lo so nemmeno io che cosa devo dire. Diciamo che sono espressioni da gergo giovanile e se mi sembra un secolo fa che le dicevo, significa che ne è passata di acqua sotto i ponti. E sì che ho solo 31 anni. Eppure…
Però da adolescente era veramente importante fare colpo su qualcuno. Anzi, addirittura si facevano le scommesse fra amiche per vedere se “un tipo ci stava” o chi fra noi “cuccava di più”.
Già, quasi mi vergogno a ricordare queste cose… eppure fanno parte della crescita di ciascuno di noi.
Comunque se devo usare un’espressione più consona potrei dire che ho suscitato l’interesse di uomo. Detta così potrebbe non sembrare una cosa tanto nuova o strana, ma per me lo è stata. Se non altro perché davanti ai miei occhi si è verificato “l’effetto sliding doors”.

(Per comodità uso il tempo presente che rende maggiormente l’idea)

Sto camminando per il centro e voglio andare a prendere l’autobus che mi porti in un punto ben preciso della città. Troppo caldo per andarci a piedi come faccio di solito.
Quando però mancano ancora 300 metri alla fermata, vedo che l’autobus in questione arriva, scarica e ricarica i passeggeri fermi ad aspettarlo. 
Ho una borsa pesante a tracolla e nessuna voglia di correre. ‘Pazienza, prenderò il prossimo’, penso fra me e me. Ed è in questo istante che lo vedo. Un ragazzo di colore che invece questa corsa la vuole prendere e quindi mi sfreccia accanto per raggiungere la pensilina e salire sull’autobus. La raggiunge, sì, e bussa anche sulla porta, ma sarà che l’autobus è di quelli snodabili e la prima metà è già ripartita, sarà che l’autista è stronzo, ma non gli vengono aperte le porte. Anche lui è costretto ad aspettare il prossimo.
Ed è così che scatta l’effetto sliding doors. Ha perso questo autobus e quindi il destino per un attimo ha cambiato rotta.
Nel frattempo io ho raggiunto la pensilina e intanto che tiro fuori il cellulare per mandare un sms e cerco un angolo d’ombra, lui mi passa davanti e dall’espressione che gli leggo in viso credo che abbia avuto un colpo di fulmine.
Quante volte sono stata fermata per strada, quante volte qualcuno ha fatto il marpione, ma questa volta è stata assolutamente diversa. Non so ben spiegare cosa sia successo, però ce l’aveva scritto in faccia e se si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ci sarà un motivo o no!?
Infatti mi sorride e io ricambio, se non altro perché dal tipo di sorriso sembrerebbe che voglia giustificare quanto successo pochi attimi fa con l’autobus. Come se si sentisse un po’ umiliato.
Ma non finisce qui. Si siede sulla panchina in attesa e mi guarda. Per un attimo penso: per fortuna che il prossimo autobus passerà fra appena 4 minuti così mi evito anche questo marpione, ed invece mi dovrò ricredere. E’ vero che ci prova, però ha un modo molto garbato e anche intelligente per farlo.
Come primo approccio usa il francese. Ecco, una lingua che non so e dunque sono costretta a rispondergli in inglese e dicendogli che se mi parla in francese non possiamo comunicare.
Ma, come se niente fosse, mi riporge la stessa domanda in inglese.
A questo punto alzo lo sguardo dal cellulare e mi giro a guardarlo. E’ di colore ma non saprei davvero dire se è africano o magari americano. Ha i tratti del viso poco marcati e detto sinceramente, è davvero un bel ragazzo. Ha gli occhi dolci, un bel sorriso, è alto, muscoloso e ben vestito, curato. Sì, forse è americano.
Sono attimi in cui penso queste cose perché poi gli devo rispondere alla domanda. Mi ha chiesto di dove sono.
Sai quante volte mi sono sentita fare questa domanda? Un milione. C’è chi mi scambia per africana, chi per indiana e chi ci azzecca e capisce che sono brasiliana. Certo, di solito sono gli stessi sudamericani a capirlo.
Ma la mia risposta è sempre la stessa: “I’m italian”
E lui? Inizia a parlarmi in italiano anche se mi dice che lo conosce molto poco. Io sorrido perché invece noto che persino la pronuncia è ottima. Ne resto colpita e penso che stia facendo il finto modesto. Oppure che ci sta provando puntando sui suoi punti di forza.
E dunque per qualche minuto la conversazione continua in italiano.
Sembra essere un tipo molto sveglio. Mi fa domande e mi racconta di sé. E infatti non credendo del tutto al mio “I’m italian” mi chiede quali sono le mie origini.
“Brazil” è la mia risposta e lui, più che soddisfatto, mi dice che è di Capo Verde. Eccolo! Un altro che mi ha “sgamata” proprio perché anche lui i discendenti dei portoghesi li conosce.
Quindi cosa succede? Che inizia a parlarmi in portoghese con una naturale scioltezza. Ci credo, è la sua madrelingua. Solo che lo fermo subito. Il portoghese non lo so, neanche questo. Mi chiede come mai e gli ripeto che sono italiana a tutti gli effetti da 31 anni!
E quindi si torna all’inglese con naturalezza. Mi dice che secondo lui dovrei imparare il portoghese e che lui conosce diverse lingue. Già, l’ho notato… nel giro di 2 minuti mi ha parlato in 4 lingue diverse. Insomma, anche questa volta il mio intuito non mi ha tradita. Ho capito subito che era un tipo sveglio e di un certo livello sociale.
E me lo conferma quando arriva l’autobus. Mi dice che deve prenderlo anche lui perché deve andare a cercare del materiale per il proprio dottorato.
Saliamo e ci sediamo vicini. Non mi disturba il suo modo di fare. E’ evidente che ci sta provando, però è molto garbato.
Mi racconta che abita in Francia e che studia scienze politiche e sociali; mi spiega che è di passaggio a Milano e che poi prosegue per il Portogallo; mi dice che si chiama Antonio “a portoguese name”. Ma io lo correggo: “A latin name” informandolo che è anche un nome italiano.
E poi la conversazione prosegue anche se a questo punto il cerchio si stringe e, seppure in maniera sempre molto carina, ci prova più esplicitamente.
Scopre il mio nome e mi chiede se possiamo conoscerci meglio. E’ chiaro nel dirmi che sono molto carina, che l’ho colpito subito e che è contento di avermi conosciuta. Sorrido, fa sempre piacere sentirsi dire certe cose ma la risposta è chiaramente un no. Un no garbato comunque. In realtà non me la sento di trattarlo male. E’ proprio un ragazzo a modo e queste chiacchiere sono state piacevoli. E poi non so, sento che abbiamo qualcosa in comune che ci lega, qualche affinità o addirittura c’è dell’alchimia. Però è e resterà una sensazione. Non lo saprò mai per certo perché questo è e resterà un incontro come tanti altri. Casuale e unico.
Nel frattempo lui prende tempo e torna su argomenti meno compromettenti. Parlando di viaggi mi conferma che vorrebbe conoscere meglio l’Italia e che è stato anni fa in Toscana fra Siena, Firenze e Pisa e che gli è piaciuta molto. Ma soprattutto che si è innamorato di Assisi.
Assisi… è la prima volta che parlo con uno straniero che mi dice di conoscere una città diversa dalle solite e soprattutto è la prima volta che sento qualcuno dirmi che si è innamorato di Assisi.
Gli sorrido di nuovo.
Però anche questa parentesi si chiude e si chiude quando lui si rende conto che sta per arrivare alla sua fermata.
E se finora è stato un approccio molto diverso dal solito, a questo punto diventa come tutti gli altri. Tempo per parlare non ce n’è più e allora cosa resta da fare? Essere più espliciti e così mi chiede se può darmi il suo indirizzo mail per restare in contatto e magari sentirci se io vado in Francia o se lui torna in Italia.
Mi colpisce il fatto che non mi abbia chiesto il mio numero di telefono e quindi accetto.
Cerca nella borsa un vecchio scontrino e una penna e mi appunta i suoi nomi (come tutti i portoghesi ne ha più di tre) e l’indirizzo email. Me lo consegna e mi chiede se riesco a leggere la sua calligrafia. Annuisco e ringrazio. Però a questo punto per essere certo che io non lo butti appena scendo dal bus, chiede un riscontro da parte mia. Il numero di telefono? No assolutamente… Mi chiede una cosa che ormai è naturale chiedere e cioè: “Hai facebook?”
Non il numero di telefono, non l’email, ma facebook. Ecco a che punto siamo arrivati con le comunicazioni. E’ incredibile!
Sorridendo gli dico di sì e che possiamo diventare amici su facebook. Che problema c’è? E’ anche meno “invasivo” della mail.
Così attraverso un altro scontrino gli fornisco il mio nome e cognome.
Siamo alle ultime battute. Si parla ancora un po’ finché non “si spezza la magia dell’incontro” (da parte sua per questo colpo di fulmine che ha avuto, da parte mia perché rimasta colpita dall’‘effetto sliding doors’) quando mi chiede se ho famiglia, figli e marito. La mia risposta non lascia alcuno spiraglio.
Il sorriso che aveva stampato sulle labbra d’un tratto sparisce ed è anche il momento di scendere.
Alzandosi mi lancia un “take care” e un “If you are in France, call me!” (mi chiedo come visto che non ci siamo scambiati i numeri di telefono..!!?? Sì, con la mia risposta deve essere svanito l’”incantesimo”, l’effetto sliding doors…).
Le porte dell’autobus si aprono, lui scende, attraversa la strada e sparisce dalla mia vista.
Tutto torna alla normalità. Ricordo con un sorriso questa parentesi durata appena una decina di minuti, conferma del fatto che la vita a volte è strana, che ti succedono cose particolari e del tutto inaspettate e che basta veramente poco per vivere un evento che non avresti vissuto se solo non fossi stato in quel luogo in quel preciso istante. Insomma, è “l’effetto sliding doors”.
Però adesso il mio pensiero è uno ben preciso. E cioè che io ho un fidanzato. Anzi, che domani parto per raggiungerlo a Santiago di Compostela per trascorrere insieme gli ultimi giorni delle nostre vacanze estive. E una delle prime cose che farò sarà di fargli leggere questo post – essendo lui il mio lettore numero uno, ma durante il cammino impossibilitato a farlo – e ricordargli quanto lo amo.

Del bevitore... del poeta... del viaggiatore: Del viaggiatore


Del viaggiatore…
Ultima parte, forse quella più banale perché autoreferenziale: un titolo del genere quando si sta parlando di un viaggio.
Abbiamo attraversato 6 regioni e siamo passati da 10 diverse località: Volturino, Cerignola, San Giovanni Rotondo e Vieste in Puglia; Campobasso in Molise; Chieti e Roseto degli Abruzzi in Abruzzo; Recanati, Loreto e Urbino nelle Marche… e il tutto in appena 6 giorni.
Di chilometri ne abbiamo macinati tanti e quanti paesaggi diversi abbiamo osservato attraverso i finestrini dell’auto. Dalla campagna emiliana-romagnola al mar Adriatico delle Marche, dalle distese di ulivi abruzzesi all’arsura della Puglia, dai paesini dell’entroterra situati in cima a un monte a paesini in riva al mare.
Di persone ne abbiamo incontrate tante, di provenienza ed età diverse, più o meno legati a me o al mio compagno “viaggiatore” (oltre che “bevitore” e “poeta”), eppure ognuno di loro ci ha lasciato qualcosa che porteremo come ricordo di questa vacanza e ognuno di loro ci ha chiesto di fermarci ancora un poco. Ma questo viaggio era volutamente suddiviso a tappe e brevi soste. L’intento era quello di fare il più possibile in un tempo limitato.
E infatti di cose ne abbiamo viste e quanti pieni di benzina che abbiamo fatto. Però è pur vero che un viaggio di questo tipo ti trasmette molte più emozioni piuttosto che un comodo viaggio in aereo. Sì, certamente è più impegnativo e meno immediato, però ti dà la possibilità di assaporare più dolcemente tutto il creato sul quale i tuoi occhi si posano.
Viene dunque da domandarmi che viaggio è stato? Come potrei definirlo?
Sicuramente è stato il primo vero viaggio di quest’anno. L’anno scorso di questi tempi ne avevamo già fatti diversi, mentre quest’anno a parte qualche gita fuori porta nei weekend, non ne abbiamo fatti.
Fra l’altro, io che sono un po’ maniaca di numeri, ho notato che finora, anche per quanto riguarda i viaggi, il loro numero è variato a seconda dell’anno. Anno dispari, tanti viaggi; anno pari, meno viaggi. Sarà una coincidenza, eppure finora non posso smentire questa constatazione.
Quindi primo vero viaggio di questo 2012. E poi? Certamente un viaggio itinerante come quello che avevamo fatto nel 2009 quando avevamo percorso 7000 km per girare la Svezia in appena 9 giorni; certamente una vacanza, la prima occasione per staccare dal quotidiano e rilassarsi dopo mesi di intenso lavoro; certamente un’esperienza, perché usare i 5 sensi in luoghi a noi estranei arricchisce sempre il nostro bagaglio culturale, la nostra formazione. Ma penso che il migliore modo per definirlo sia proprio quello di pensare che cosa significa un viaggio e chi è il viaggiatore!?? Non è forse quella metafora che ci porta a trovare un punto di riferimento che ci aiuti a conoscere meglio noi stessi e a comprendere in che rapporto siamo con gli altri? E quindi l’osservare, il parlare e stupirsi nel ritrovare, in posti lontani, tratti comuni a tutte le genti?
Perché, citando John Steinbeck, Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”
E viaggiatore non è forse chi sa lasciare a casa le proprie idee, chi non cerca di adeguare ciò che gli sta intorno a ciò che ha già dentro di sé e parte per partire, qualsiasi sia la meta?
Perché viaggiare, lo aveva detto Proust, non è vedere luoghi nuovi ma vedere con occhi nuovi.
Un viaggio ha il potere di sconvolgere tanti punti fermi, ha la funzione liberatoria di leggerezza e della fatica al punto tale da vivere la sensazione di perdersi e “naufragar m’è dolce in questo mare”.
Eppure arriva sempre il momento per ritrovarsi.
Alla conclusione di un indimenticabile viaggio come questo, di un’esperienza vissuta, si è infatti sempre avvolti dai propri pensieri.
Il rientro, la famiglia, il lavoro, la curiosità di riguardare i nostri scatti fotografici, ma anche la soddisfazione dell’esperienza, la felicità del cammino, le strade percorse. Ma soprattutto i dolci ricordi scolpiti nella memoria e le emozioni.
Si ritorna, è vero, ma il viaggio torna con noi e ci resta dentro per sempre. Arriverà la nostalgia, arriva sempre, ma alla fine del viaggio è bello voltarsi indietro ed essere felici. Perché il nostro viaggio continua. Metaforicamente e di fatto. La Spagna e casa Leiras mi aspettano.




giovedì 9 agosto 2012

Del bevitore... del poeta... del viaggiatore: Del poeta



Del poeta…
E dopo il “tour enogastronomico” del precedente post, cambio radicalmente argomento per aprire una parentesi più intellettuale. Ma è poi così vero che le due tematiche non hanno nulla a che fare l’una con l’altra?
Probabilmente no e non solo per averlo letto su quel bigliettino da visita dell’enoteca.
Ma partiamo proprio da quello che è il filo conduttore dei tre post.
Infatti se penso a quell’enoteca la mia immaginazione mi porta al concetto dei caffè letterari in cui si incontravano le personalità più illustri del tempo: letterati, poeti, artisti e politici.
Perché allora andavano per la maggiore i caffè, mentre oggi sono più di nicchia le enoteche. E se poi sono enoteche letterarie…
Ma come è possibile che possa nascere questa unione eno-poetica?
Probabilmente in maniera molto naturale perché sia leggere e scrivere poesie che bere un buon vino, fanno provare delle sensazioni personali, delle suggestioni che possono portare chiunque se ne intenda a tracciare un parallelismo tra poetica e degustazione.
Appurato quindi che esiste un nesso fra vino e poesia, da quale pensiero è nato invece l’accostamento fra poesia e la mia vacanza itinerante che sto raccontando, fra il “poeta” e il viaggio?
La risposta è molto più immediata di quanto si pensi.
Sicuramente perché la poesia è l’arte e la tecnica di esprimere in versi esperienze, idee, emozioni e fantasie, che è poi il concetto base di questo blog. Non scrivo in rima, ma cerco di lasciare fluire i miei pensieri raccontando ciò che mi succede e in particolar modo ciò che mi colpisce e mi trasmette una grande emozione, come la vacanza in questione.
Statua di Giacomo Leopardi a Recanati
Sicuramente perché questo viaggio itinerante mi ha vista arrivare anche a Recanati, paese che diede i natali a Giacomo Leopardi e di cui, in compagnia del mio compagno – il bevitore e mangiatore del primo post - ho visitato i luoghi principali, primo fra tutti “l’ermo colle” dove il poeta soleva passeggiare e sedersi “sedendo e mirando” il limite tra l’orizzonte della siepe e gli spazi del cielo. E vuoi che la sensazione che quel luogo ti trasmette è proprio di “profondissima quiete”, vuoi che il concetto di poesia aleggiava nell’aria, vuoi che un po’ tutti abbiamo provato a scrivere delle poesie nella nostra vita, la passeggiata per le vie semideserte del paese in una calda giornata estiva, ha portato anche il mio compagno a comporre una poesia. Di preciso un haiku, genere di poesia giapponese che consiste di 17 sillabe appena ripartite in tre versi in cui due quinari si alternano a un settenario.
“Ora respiro/la stessa aria che fu/dell’infinito”
Insomma, la tappa a Recanati lo ha nobilitato: da “bevitore e mangiatore” è passato a essere “poeta”.
Però il vero motivo per cui mi sento di accostare poesia e viaggio, è la risposta alla domanda: che cos’è la poesia? O meglio, che cosa è poesia? Che sono due domande sottilmente differenti. Perché alla prima basta rispondere con la definizione che ne dà il vocabolario della lingua italiana, ma rispondere alla seconda risulta essere molto più complesso. Se non altro perché mette in gioco la soggettività e rimanda al contesto in cui è stata composta e in cui viene letta.
Difficile dire cosa sia Poesia oggi.
Si può fare una distinzione fra poesie scritte per comunicare un messaggio e tra poesie più intime, scritte più per se stessi, ma secondo me la poesia è libera, non ha confini delimitabili.
E’ come la musica che deve stimolare pensieri, sensazioni, ricordi attraverso le parole, ma soprattutto per un “poeta” inteso come persona dotata di grande sensibilità e immaginazione, è tutto ciò che ci circonda, tutto ciò che riesce a comunicare qualcosa.
Poesia sono gli stessi oggetti che percepiamo e che rivediamo attraverso l’anima; poesia è tutto ci che mi suscita un sentimento, un’emozione.
C’è poesia… nella scelta di un viaggio itinerante alla scoperta di nuovi luoghi, nuove usanze e nuove persone;
C’è poesia… nella partecipazione al matrimonio di una cara amica che abita a 800 km da te (Volturino);
C’è poesia… nell’immortalare con numerosi scatti fotografici gli attimi di questo viaggio;
C’è poesia… nell’osservare una composizione floreale galleggiante o una lanterna volante (Cerignola – ricevimento di nozze);
C’è poesia… nell’osservare distese di ulivi e ripensare a film e libri che si svolgono in questi luoghi (Puglia e Abruzzo);
C’è poesia… nel guardare il mare di notte illuminato dal chiarore della luna (Vieste);
C’è poesia… nell’incontro con una persona dopo 27 anni (Campobasso);
C’è poesia… nel conoscere persone nuove che ti accolgono con un sorriso (Campobasso, Chieti e Roseto degli Abruzzi);
C’è poesia… nell’accompagnare le chiacchiere con un buon vino rosso (Roseto degli Abruzzi);
C’è poesia… nel vedere realizzato l’amore verso il prossimo (Fondazione Piccola Opera Charitas – Giulianova);
C’è poesia… nello scrutare l’orizzonte dalla cima di un colle (Recanati);
C’è poesia… nel percorrere faticose salite a piedi per raggiungere un luogo sacro e il suo mistero (Loreto);
C’è poesia… nel relax a bordo piscina, svuotando la mente e sentendosi liberi (Urbino);
C’è poesia… nei colori del tramonto;
C’è poesia… nel tornare a visitare un luogo dopo una decina d’anni e pensare a quante cose sono successe nel frattempo (Urbino);
C’è poesia… nel salutarsi con un bacio e sentire già la mancanza dell’altra persona;
Perché c’è sempre poesia nell’aria, intorno a noi…
C’è poesia dentro di noi.


giovedì 2 agosto 2012

Del bevitore… del poeta… del viaggiatore...: Del bevitore


Manca poco al mio secondo viaggio di quest’estate e ancora devo pubblicare i tre post della prima vacanza. Meglio cominciare col primo allora…

Del bevitore…
Forse sarebbe più corretto titolare questa parte “Del bevitore e del mangiatore”, perché in realtà noi non siamo andati a quella famosa enoteca citata nell’incipit, né in nessun’altra. Noi siamo andati a un matrimonio, un matrimonio pugliese, il nostro primo matrimonio in Puglia e se anche a voi è capitata questa esperienza, saprete benissimo che c’è una grande abbondanza di alcol ma soprattutto di cibo. Ottimo, ma davvero troppo.
Se poi pensate che la vacanza è proseguita in altre località dove il cibo è altrettanto ottimo e dove non si è mai stati prima, è normale che il viaggio itinerante sia diventato anche tour enogastronomico.
Ma a proposito… continuo a parlare al plurale ma non vi ho detto con chi ho viaggiato. Ve lo presento  molto rapidamente e senza spendere troppe parole. Il mio compagno di viaggio era questo allenatissimo “bevitore e mangiatore”.
Ma sia chiaro: bevitore nel senso di colui che non disdegna il vino ma senza eccedere e soprattutto, ubriacarsi; e poi bevitore gregario – ho trovato questo termine in internet e mi è sembrato abbastanza appropriato alla situazione – nel senso che in compagnia il consumo di vino diventa un elemento unificante del gruppo (e immaginatevi a una festa di matrimonio lunga 12 ore… ) ma che alla fine del tutto, al momento dello scioglimento del gruppo, viene ridotto o eliminato del tutto.
Bevitore e mangiatore in quanto amante delle cose buone che la cucina italiana ci offre.  
E poi si sa che in compagnia si riempiono i calici e si fanno i brindisi, in compagnia si beve più volentieri e in compagnia le varie degustazioni sorgono più spontanee.
Se poi si tratta di mischiare prosecco, spumante, vino bianco e vino rosso e alla fine magari un digestivo, in fondo un po’ tutti vestiamo i panni “Del bevitore” in certe occasioni di festa.
Anche io, anche se dopo un tot di bicchieri mi viene mal di stomaco e quindi evito di eccedere.
E cosa dire “del mangiatore”? Che nei 6 giorni di viaggio-vacanza ho mangiato tanto quanto ai pranzi di Natale! Non ci credete? Beh, pensate solo al pranzo di nozze. A uno in senso lato. Aggiungeteci poi che era un pranzo di nozze in Puglia, iniziato alle 14:30 e finito alle 21:30, siete ancora scettici? Troppo, troppo ricco. Se poi uno è abituato a mangiare o solo un primo o solo un secondo a pasto (come la sottoscritta), quando ho visto che i primi previsti sarebbero stati 6, ho capito che sarebbe stato veramente troppo.
Bisognava digiunare per una settimana. Prima di partire l’avevo immaginato, ora lo so per certo.
Tutto molto curato e buono comunque.
Continuando poi  le nostre mangiate anche nei giorni successivi, è stato meraviglioso realizzare di essere veramente in vacanza senza il bisogno di fare la spesa, pensare che cosa mangiare giorno per giorno, cucinare e sistemare la cucina. Eh sì perché se uno è tanto rilassato, mangia anche con più gusto.
E allora in Puglia non potevo non mangiare le orecchiette alle cime di rapa, i taralli e le cartellate; in Abruzzo i maccheroni alla chitarra accompagnati da un ottimo vino rosso e nelle Marche, anzi, a Urbino le cresce.
E tutto sempre in abbondanza. Quindi addio dieta!
Ma in fondo quando uno è in vacanza, lo è in tutti i sensi e allora ci si ricorda anche quali sono i piaceri della vita! Bere e mangiare bene rientrano sicuramente fra questi!