Torno a scrivere dopo mesi di silenzio e purtroppo non per
un lieto evento, ma per qualcosa che per forza ti fa tirare fuori le emozioni,
che hai bisogno di tirare fuori.
Torno adesso dal funerale. Incredula e addolorata come
all’ultimo funerale a cui sono stata quattro anni e mezzo fa e che mi ha
sconvolto l’esistenza.
In realtà quando una vita si spegne è sempre molto doloroso
e da quel 10 febbraio 2002 anche i funerali sono diventati come una prova da
superare. Una di quelle prove in cui devi farti forza, in cui pensi di non
essere da solo e il solo a stare male, ti credi forte e magari ti convinci di
essere “vaccinato”. Ma non è vero.
Anche questa volta c’è stata tanta commozione: la chiesa “colorata”
di giallo, il giallo “marziano” che lui tanto amava, perché segno
dell’appartenenza a un gruppo di amici con una passione in comune. Quel gruppo
di cui portava, agganciata al pigiama, la spilletta l’ultimo giorno in cui ci
siamo visti.
Tanti erano gli amici, tante le persone che gli volevano
bene e che sono rimasti turbati da quanto accaduto.
Ci vuole tanta fede per poter dire che era una festa e qualcuno
dirà che la parola funerale ha in comune con la parola festa solamente l’iniziale;
Ci vuole tanta fede per poter vivere con serenità l’ultimo
saluto a una persona cara.
Ci vuole tanta fede per poter accettare la perdita e non
incolpare nessuno.
Eppure è così! Perché chi ha fede sa che un funerale celebra
il passaggio dalla vita terrena a quella eterna; chi ha fede sa che ora la
persona è tornata fra le braccia del Padre e lì riposa in pace.
E oggi questa serenità io l’ho vista e sentita con i miei
stessi occhi, con il mio cuore.
Era sul viso della sua amata che ha perso una parte così
importante della propria vita, ma ciononostante sembrava che fosse lei a dover
consolare tutti.
E in parte era anche in me, perché con la fede la Sua
vicinanza mi ha dato forza e mi ha rasserenata e per la primissima volta nella
mia vita ho partecipato alla funzione provando un senso di pace interiore.
Siamo poi noi umani che non accettiamo la morte a rendere i
funerali così tragici; sono le lacrime, sono le parole, sono i ricordi, i testi
o le lettere che vengono letti e la sensazione che sia tutto finito.
Non importa quanto si era legati alla persona, non importa
sapere che prima o poi tutti moriremo; il fatto è che la morte provoca sempre
un grande vuoto a chi resta e anche se il tempo lenisce il dolore, il ricordo,
le sensazioni provate in questi momenti non si cancelleranno mai.
Più forte era il legame con chi ci ha lasciati, più la cicatrice
sarà evidente. Ma è una cicatrice che ricorderà sempre quanto vero e bello
fosse quel rapporto.
L’altra sera continuavo a ripetere: “Di nuovo tu… maledetto”
perché per me il cancro è il diavolo. E’ il male più grande che c’è, è il male
del secolo e io mi domando ogni giorno quante persone dovranno ancora morire
per colpa sua!?
In passato c’erano la tubercolosi, c’era il colera, la
peste, vere epidemie e pandemie, ma c’era anche maggiore ignoranza, il
progresso tecnico-scientifico era inesistente o agli albori e le persone non
erano benestanti. Ci si ammalava e si moriva a volte senza possibilità di
essere curati.
E proprio come allora, ora c’è lui, il maledetto, e
nonostante il progresso della scienza, le maggiori risorse e l’informazione, il
più delle volte vince. Perché?!?
Quante persone conoscevo che sono state sconfitte da lui.
Qualcuno è stato colpito e vinto nel giro di pochi giorni; qualcuno si è
trascinato ferito per mesi e mesi o addirittura anni e poi non ce l’ha più
fatta; qualcuno è riuscito a sconfiggerlo ma poi l’ha visto ritornare, come per
prendersi la rivincita, anche molti anni dopo. E ogni volta mi sono chiesta
“Perché??!!”
Ho due grandi perdite alle spalle che mi hanno cambiato la
vita e “trasformata” in quella che sono oggi.
Quando mi guardo indietro spesso penso di essere un’altra
persona… tanto può cambiarti un dolore.
Il cancro è entrato con violenza nella mia vita, in quelli
che si definiscono gli anni più belli, spaccandola in due. Non colpita
personalmente, ma quando tocca alle persone a te più care, è come se lo fosse.
La prima volta è stata la “versione veloce”: 4 mesi e se ne
è andato; la seconda volta è stata la “versione lunga e dolorosa”: 5 anni, i
più dolorosi di tutta la vita. Se ci penso, 1/6 della mia vita e questo spiega
perché sono cambiata così tanto.
Ancora oggi a distanza di anni il senso di sconforto è lo
stesso. Ti chiedi perché è successo proprio a te, perché sono caduti ad appena
6 anni di distanza l’uno dall’altro, perché non hanno potuto vedermi realizzata
da adulta, perché mi hanno lasciata sola.
La cicatrice è molto evidente e non posso ignorarla. E’
sotto i miei occhi, ogni giorno.
Il dolore grande dei primi momenti non c’è più perché ho
fatto di tutto per continuare la mia vita, perché è così che desideravano per
me, cercando anche di interpretare quanto mi avevano trasmesso loro, quanto mi
avevano detto quando ero adolescente. Sì, magari all’epoca rispondevo che non
mi interessava o forse nemmeno li ascoltavo e in realtà a distanza di anni
queste frasi mi sono tornate alla memoria e ho realizzato che no, li avevo
ascoltati e da qualche parte avevo incamerato le informazioni. Tuttora mi
sembra incredibile a pensarci, ma sono anche convinta che questo mi permetta di
sentirli sempre vicini, come se continuassero a seguirmi nella mia
quotidianità.
Però una malinconia di fondo resta e non la cancelli. E’
inutile, se una persona l’hai amata, continuerai a sentirne la mancanza.
L’essere umano è fatto di sentimenti e volenti o nolenti, sono loro che
prevalgono sulla ragione.
E se poi ti si ripresenta la stessa situazione anche se a
distanza di qualche anno e chiaramente a un’altra persona, ti senti
riprecipitare in quel vortice che ti risucchia e ti fa crollare tutte le tue
difese. All’improvviso ti senti di nuovo piccola piccola, fragile, non sei più
nessuno. E poi arriva quel momento. Game over.
Tre settimane sono poche, troppo poche per capacitarsi di
tutto questo.
All’inizio non ho voluto crederci, sembrava tutto così
assurdo e invece è arrivato troppo presto il giorno in cui me ne sono dovuta
rendere conto per forza e all’improvviso ho sentito di nuovo quella stretta al
cuore. Stava per vincere ancora una volta.
E immancabilmente mi sono ritornati alla mente come un
flash, i miei ricordi di quei 5 anni così sofferti. I ricordi più forti che non
dimenticherò mai.
La scoperta della malattia, la speranza, le cure, la
sofferenza, i pianti, la rabbia, il dolore, gli ospedali, la forza interiore,
cartelle cliniche e medici, le corse in farmacia, il progredire della malattia,
le preghiere e la speanza, quella luce che si spegne negli occhi, le ultime
parole, gli ultimi gesti, le ultime lacrime e la fine.
Anche se non rivissuti in prima persona, anche questa volta è
stato come immedesimarmi in quella ragazza, la sua amata compagna, che stava
vivendo le stesse sensazioni vissute da me anni fa - stessa sofferenza,
angoscia, la paura più grande, il vuoto - e stava perdendo il suo amore.
Ho sofferto con lei, ho sofferto per lei e ho pregato per
lui. E continuavano a passarmi davanti agli occhi le immagini e i “suoni” del
nostro ultimo incontro. La malattia che l’aveva distrutto nel fisico, ma non
nello spirito. Il sorriso c’era, il senso dell’umorismo ancora di più e
soprattutto tanta serenità e tante speranze.
Com’è possibile che nel giro di dieci giorni la situazione
sia precipitata in questo modo?! Perché i suoi sogni sono stati interrotti così
presto!? Perché morire giovani?!
Tuttavia la morte non è mai vana. Anzi, quel giorno ho
ricevuto un’altra grande lezione di vita!
E ripensando alle mie due esperienze passate mi convinco che
per lui è sicuramente stato meglio così.
Quando ormai non c’è più niente da fare, si può solo sperare
che la persona non soffra e si spenga il più velocemente possibile. Anche se è una
dura lotta fra ragione e sentimento, fra il non volerla lasciare andare e
l’augurarle il riposo in pace.
In realtà ti resta sempre vicina. Sì, magari non puoi più
vederla, né sentirla, né toccarla, ma quello che il male non può fare è cancellarla
dalla memoria di chi resta, dal cuore di chi l’ha conosciuta.
Anzi, passato il dolore più forte, ritorneranno alla mente solo le cose belle: tutto quello che ha lasciato dietro di sé, le sue qualità, le sue passioni, i suoi modi di dire, le raccomandazioni, i sorrisi e la sua grande forza… quella con cui ha affrontato il male cercando di abbatterlo.
Anzi, passato il dolore più forte, ritorneranno alla mente solo le cose belle: tutto quello che ha lasciato dietro di sé, le sue qualità, le sue passioni, i suoi modi di dire, le raccomandazioni, i sorrisi e la sua grande forza… quella con cui ha affrontato il male cercando di abbatterlo.
E sono questi ricordi che servono per andare avanti,
ripensandola con un sorriso, e ricordarsi sempre che ci vuole vedere sereni.
Qualcuno in sua memoria ha riportato in facebook una poesia.
E sono rimasta colpita dalla dolcezza della sua conclusione da volerla
riportare proprio qui:
“Fino ad allora vivi la tua vita in pienezza e quando hai
bisogno di me, sussurra il mio nome nel tuo cuore.... ed io sarò con te"
Sì, la vita va vissuta e ripenso con dispiacere e rabbia a
tutte le volte in cui mi faccio sopraffare dalla quotidianità e do tutto per
scontato.
Tutti amiamo la nostra vita anche se passiamo tanto, troppo
tempo a lamentarci e spesso delle cose più futili.
La vita è gioia e dolore, è emozione, è rispetto, è
orgoglio, è ricchezza soprattutto interiore e innanzitutto è Dono ed è Amore.
E a tal proposito concludo proprio con le sue parole, tratte
dal finale dell’ultimo post nel suo blog:
“…Queste cose, ogni giorno, sono scontate, ma non è così.
Ho combattuto e sofferto per averle e mi rendo conto, solo a volte, che in
realtà devo
meritarle ogni giorno, devo fare del mio meglio per mantenerle. E' bello averla
a fianco ogni giorno, andare e tornare dall'ufficio con i suoi sorrisi”
Sì, lui l’aveva capito. Ha vissuto la vita e ne ha
riconosciuto la bellezza; come lui stesso ha scritto, ha conosciuto l’AMORE (non
solo con la A maiuscola ma con tutte le lettere maiuscole) e ne ha dato tanto;
la sua forza sono state la speranza e la fiducia. Quindi la fede.
«La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Ebrei, 11,1)
Grazie Andrea!