venerdì 10 agosto 2012

Effetto "sliding doors"


Ma voi ci credete al destino? Ci credete che, se anziché compiere una determinata cosa in uno specifico istante ne fate un’altra, il vostro destino cambia rotta?
L’avete visto il film del titolo di questo post? E’ quindi solo un film o c’è del vero?
Personalmente ho sempre pensato che ognuno di noi ha un destino segnato e che se anche per un contrattempo, una certa cosa non accade in un determinato istante, prima o poi accadrà perché è “scritto” nel libro del destino di ciascuno di noi.
Un po’ quello che viene raccontato in “Final Destination”, sempre per citare un film, che, sebbene la maggior parte l’abbia additato come un filmaccio di serie B, secondo me ha alla base una trama profonda. Quella che per l’appunto ognuno di noi ha un proprio destino e non può pensare di essere il deus ex machina della propria vita… per sempre.
Questa premessa per raccontarvi quello che mi è accaduto oggi.
Oggi ho rimorchiato. Forse dovrei dire che ho fatto colpo?!? Mah, non lo so nemmeno io che cosa devo dire. Diciamo che sono espressioni da gergo giovanile e se mi sembra un secolo fa che le dicevo, significa che ne è passata di acqua sotto i ponti. E sì che ho solo 31 anni. Eppure…
Però da adolescente era veramente importante fare colpo su qualcuno. Anzi, addirittura si facevano le scommesse fra amiche per vedere se “un tipo ci stava” o chi fra noi “cuccava di più”.
Già, quasi mi vergogno a ricordare queste cose… eppure fanno parte della crescita di ciascuno di noi.
Comunque se devo usare un’espressione più consona potrei dire che ho suscitato l’interesse di uomo. Detta così potrebbe non sembrare una cosa tanto nuova o strana, ma per me lo è stata. Se non altro perché davanti ai miei occhi si è verificato “l’effetto sliding doors”.

(Per comodità uso il tempo presente che rende maggiormente l’idea)

Sto camminando per il centro e voglio andare a prendere l’autobus che mi porti in un punto ben preciso della città. Troppo caldo per andarci a piedi come faccio di solito.
Quando però mancano ancora 300 metri alla fermata, vedo che l’autobus in questione arriva, scarica e ricarica i passeggeri fermi ad aspettarlo. 
Ho una borsa pesante a tracolla e nessuna voglia di correre. ‘Pazienza, prenderò il prossimo’, penso fra me e me. Ed è in questo istante che lo vedo. Un ragazzo di colore che invece questa corsa la vuole prendere e quindi mi sfreccia accanto per raggiungere la pensilina e salire sull’autobus. La raggiunge, sì, e bussa anche sulla porta, ma sarà che l’autobus è di quelli snodabili e la prima metà è già ripartita, sarà che l’autista è stronzo, ma non gli vengono aperte le porte. Anche lui è costretto ad aspettare il prossimo.
Ed è così che scatta l’effetto sliding doors. Ha perso questo autobus e quindi il destino per un attimo ha cambiato rotta.
Nel frattempo io ho raggiunto la pensilina e intanto che tiro fuori il cellulare per mandare un sms e cerco un angolo d’ombra, lui mi passa davanti e dall’espressione che gli leggo in viso credo che abbia avuto un colpo di fulmine.
Quante volte sono stata fermata per strada, quante volte qualcuno ha fatto il marpione, ma questa volta è stata assolutamente diversa. Non so ben spiegare cosa sia successo, però ce l’aveva scritto in faccia e se si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ci sarà un motivo o no!?
Infatti mi sorride e io ricambio, se non altro perché dal tipo di sorriso sembrerebbe che voglia giustificare quanto successo pochi attimi fa con l’autobus. Come se si sentisse un po’ umiliato.
Ma non finisce qui. Si siede sulla panchina in attesa e mi guarda. Per un attimo penso: per fortuna che il prossimo autobus passerà fra appena 4 minuti così mi evito anche questo marpione, ed invece mi dovrò ricredere. E’ vero che ci prova, però ha un modo molto garbato e anche intelligente per farlo.
Come primo approccio usa il francese. Ecco, una lingua che non so e dunque sono costretta a rispondergli in inglese e dicendogli che se mi parla in francese non possiamo comunicare.
Ma, come se niente fosse, mi riporge la stessa domanda in inglese.
A questo punto alzo lo sguardo dal cellulare e mi giro a guardarlo. E’ di colore ma non saprei davvero dire se è africano o magari americano. Ha i tratti del viso poco marcati e detto sinceramente, è davvero un bel ragazzo. Ha gli occhi dolci, un bel sorriso, è alto, muscoloso e ben vestito, curato. Sì, forse è americano.
Sono attimi in cui penso queste cose perché poi gli devo rispondere alla domanda. Mi ha chiesto di dove sono.
Sai quante volte mi sono sentita fare questa domanda? Un milione. C’è chi mi scambia per africana, chi per indiana e chi ci azzecca e capisce che sono brasiliana. Certo, di solito sono gli stessi sudamericani a capirlo.
Ma la mia risposta è sempre la stessa: “I’m italian”
E lui? Inizia a parlarmi in italiano anche se mi dice che lo conosce molto poco. Io sorrido perché invece noto che persino la pronuncia è ottima. Ne resto colpita e penso che stia facendo il finto modesto. Oppure che ci sta provando puntando sui suoi punti di forza.
E dunque per qualche minuto la conversazione continua in italiano.
Sembra essere un tipo molto sveglio. Mi fa domande e mi racconta di sé. E infatti non credendo del tutto al mio “I’m italian” mi chiede quali sono le mie origini.
“Brazil” è la mia risposta e lui, più che soddisfatto, mi dice che è di Capo Verde. Eccolo! Un altro che mi ha “sgamata” proprio perché anche lui i discendenti dei portoghesi li conosce.
Quindi cosa succede? Che inizia a parlarmi in portoghese con una naturale scioltezza. Ci credo, è la sua madrelingua. Solo che lo fermo subito. Il portoghese non lo so, neanche questo. Mi chiede come mai e gli ripeto che sono italiana a tutti gli effetti da 31 anni!
E quindi si torna all’inglese con naturalezza. Mi dice che secondo lui dovrei imparare il portoghese e che lui conosce diverse lingue. Già, l’ho notato… nel giro di 2 minuti mi ha parlato in 4 lingue diverse. Insomma, anche questa volta il mio intuito non mi ha tradita. Ho capito subito che era un tipo sveglio e di un certo livello sociale.
E me lo conferma quando arriva l’autobus. Mi dice che deve prenderlo anche lui perché deve andare a cercare del materiale per il proprio dottorato.
Saliamo e ci sediamo vicini. Non mi disturba il suo modo di fare. E’ evidente che ci sta provando, però è molto garbato.
Mi racconta che abita in Francia e che studia scienze politiche e sociali; mi spiega che è di passaggio a Milano e che poi prosegue per il Portogallo; mi dice che si chiama Antonio “a portoguese name”. Ma io lo correggo: “A latin name” informandolo che è anche un nome italiano.
E poi la conversazione prosegue anche se a questo punto il cerchio si stringe e, seppure in maniera sempre molto carina, ci prova più esplicitamente.
Scopre il mio nome e mi chiede se possiamo conoscerci meglio. E’ chiaro nel dirmi che sono molto carina, che l’ho colpito subito e che è contento di avermi conosciuta. Sorrido, fa sempre piacere sentirsi dire certe cose ma la risposta è chiaramente un no. Un no garbato comunque. In realtà non me la sento di trattarlo male. E’ proprio un ragazzo a modo e queste chiacchiere sono state piacevoli. E poi non so, sento che abbiamo qualcosa in comune che ci lega, qualche affinità o addirittura c’è dell’alchimia. Però è e resterà una sensazione. Non lo saprò mai per certo perché questo è e resterà un incontro come tanti altri. Casuale e unico.
Nel frattempo lui prende tempo e torna su argomenti meno compromettenti. Parlando di viaggi mi conferma che vorrebbe conoscere meglio l’Italia e che è stato anni fa in Toscana fra Siena, Firenze e Pisa e che gli è piaciuta molto. Ma soprattutto che si è innamorato di Assisi.
Assisi… è la prima volta che parlo con uno straniero che mi dice di conoscere una città diversa dalle solite e soprattutto è la prima volta che sento qualcuno dirmi che si è innamorato di Assisi.
Gli sorrido di nuovo.
Però anche questa parentesi si chiude e si chiude quando lui si rende conto che sta per arrivare alla sua fermata.
E se finora è stato un approccio molto diverso dal solito, a questo punto diventa come tutti gli altri. Tempo per parlare non ce n’è più e allora cosa resta da fare? Essere più espliciti e così mi chiede se può darmi il suo indirizzo mail per restare in contatto e magari sentirci se io vado in Francia o se lui torna in Italia.
Mi colpisce il fatto che non mi abbia chiesto il mio numero di telefono e quindi accetto.
Cerca nella borsa un vecchio scontrino e una penna e mi appunta i suoi nomi (come tutti i portoghesi ne ha più di tre) e l’indirizzo email. Me lo consegna e mi chiede se riesco a leggere la sua calligrafia. Annuisco e ringrazio. Però a questo punto per essere certo che io non lo butti appena scendo dal bus, chiede un riscontro da parte mia. Il numero di telefono? No assolutamente… Mi chiede una cosa che ormai è naturale chiedere e cioè: “Hai facebook?”
Non il numero di telefono, non l’email, ma facebook. Ecco a che punto siamo arrivati con le comunicazioni. E’ incredibile!
Sorridendo gli dico di sì e che possiamo diventare amici su facebook. Che problema c’è? E’ anche meno “invasivo” della mail.
Così attraverso un altro scontrino gli fornisco il mio nome e cognome.
Siamo alle ultime battute. Si parla ancora un po’ finché non “si spezza la magia dell’incontro” (da parte sua per questo colpo di fulmine che ha avuto, da parte mia perché rimasta colpita dall’‘effetto sliding doors’) quando mi chiede se ho famiglia, figli e marito. La mia risposta non lascia alcuno spiraglio.
Il sorriso che aveva stampato sulle labbra d’un tratto sparisce ed è anche il momento di scendere.
Alzandosi mi lancia un “take care” e un “If you are in France, call me!” (mi chiedo come visto che non ci siamo scambiati i numeri di telefono..!!?? Sì, con la mia risposta deve essere svanito l’”incantesimo”, l’effetto sliding doors…).
Le porte dell’autobus si aprono, lui scende, attraversa la strada e sparisce dalla mia vista.
Tutto torna alla normalità. Ricordo con un sorriso questa parentesi durata appena una decina di minuti, conferma del fatto che la vita a volte è strana, che ti succedono cose particolari e del tutto inaspettate e che basta veramente poco per vivere un evento che non avresti vissuto se solo non fossi stato in quel luogo in quel preciso istante. Insomma, è “l’effetto sliding doors”.
Però adesso il mio pensiero è uno ben preciso. E cioè che io ho un fidanzato. Anzi, che domani parto per raggiungerlo a Santiago di Compostela per trascorrere insieme gli ultimi giorni delle nostre vacanze estive. E una delle prime cose che farò sarà di fargli leggere questo post – essendo lui il mio lettore numero uno, ma durante il cammino impossibilitato a farlo – e ricordargli quanto lo amo.

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