sabato 24 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - E' Natale!!! (Part V)


L’ultimo appuntamento con il mio percorso di “Emozioni di Luce e Colore” non poteva che coincidere con la Vigilia di Natale, quando al termine del cammino di Avvento l’attesa si conclude con la notte santa che vede viva la memoria della nascita di Gesù. Noi cristiani adoriamo questo bambino oggi, dopo più di 2000 anni, perché è con noi qui e ora e quindi lasciamo spazio alla gioia e alla festa!
Dunque vengo a riproporvi il mio ultimo post, con la riflessione sul secondo dipinto di George De La Tour, in mostra a Palazzo Marino a Milano.
Perché questo dipinto intitolato “L’Adorazione dei pastori”, ci parla proprio del mistero della Nascita di Gesù, del Dio che si è fatto come noi, per essere uno di noi.
Come il dipinto precedentemente descritto, anche questo porta alcune delle stesse caratteristiche: in primo luogo il fatto che sia anch’esso a tema religioso e in secondo luogo che sia un “notturno” illuminato dall’interno, proprio dalla luce di una candela nonché dallo stesso Gesù bambino, che è nuova luce, luce del mondo.
Analizzando l’opera nel suo insieme, si possono riconoscere diversi personaggi, tutti raffigurati secondo modelli consueti del pittore.

Da sinistra a destra si riconoscono: la Vergine Maria, vestita di rosso e con le mani giunte, quasi assorta e in meditazione; un pastore che porta con sé un agnello, così docile che bruca la paglia della culla con discrezione; un pifferaio che sta per togliersi il cappello in segno di rispetto e umiltà; una nutrice che porta la zuppa per la puerpera e infine San Giuseppe che fa da contraltare alla figura di Maria, quasi come a chiudere il cerchio che si stringe attorno alla culla. E Giuseppe è colui che tiene in mano la candela che illumina la scena, schermandola delicatamente con la mano sinistra, ma come potete notare, in questo caso la mano, le dita, le sue unghie non diventano trasparenti come nel caso di Gesù nel dipinto “San Giuseppe falegname”. 
E infine lui, il piccolo che dorme sereno avvolto nelle fasce, sprigionando un bagliore divino. Lui nuova fonte di luce, che rende la scena mistica, quasi irreale e al contempo di contemplazione silente del miracolo. E oltre alla sua nascita, sono simboleggiate anche la sua morte e risurrezione: attraverso la figura dell’agnello mansueto (l’agnus dei), le fasce con cui è avvolto, così come gli occhi chiusi.
E dunque mi piace poter pubblicare questo post proprio a pochi minuti dalla mezzanotte di questo Natale. Per ricordare quale è questo grande evento che festeggiamo ogni anno, quale è il vero motivo, dato che ormai il suo vero significato si è andato perdendo e il Natale consumistico ha preso il sopravvento. Ma in fondo anche lo stare insieme in famiglia, il ritrovarsi con serenità e pace, non è solo un’usanza, una tradizione. E’ la risposta a ciò che sta dentro di noi, nel cuore di ciascuno di noi, nel bisogno di dare e ricevere amore, proprio sull’esempio che Lui ci ha dato 2011 anni fa.
Buon Santo Natale a tutti!

mercoledì 21 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - Part IV


Eccomi a riprendere il discorso lasciato in sospeso settimana scorsa. Mancano pochi giorni al Natale, a quella notte santa in cui l’intero mondo cristiano ricorda e celebra la nascita di un bambino che si è fatto come noi, per essere uno come noi e mi sembra questa la migliore occasione per cominciare a parlare dei dipinti di De La Tour che, come già anticipato in un post precedente, ho potuto ammirare a Palazzo Marino a Milano.
E’ ormai il quarto appuntamento con il Louvre a Milano (organizzato da Eni con la collaborazione del Comune), ma quest’anno si è scelto di ospitare due opere a tema religioso che dunque rimandano al significato più vero dei festeggiamenti natalizi.
Entrando nella sala allestita per la mostra, si incontra per primo il dipinto intitolato “L’Adorazione dei pastori”, ma volendo dare un senso a tutto questo, al mio percorso di “Luce e colore”, parlerò prima del secondo dipinto, di “San Giuseppe falegname”.
In quest’opera sono soltanto due i protagonisti: San Giuseppe falegname assistito da suo figlio Gesù ancora bambino.
In apparenza buia, il pittore ha giocato fortemente con luci e ombre per svelare profondi significati.
Tant’è che la parte più significativa del dipinto sta proprio nella luce di una fiamma che esalta i colori caldi e ha la capacità di coinvolgere l’osservatore.
La calda luce di una candela, retta da Gesù Bambino, che illumina lo spazio lavorativo del padre, quanto l’intera scena; il bagliore della candela da lui retta, che accende il dipinto dall’interno, illuminando il suo volto così come la fronte corrugata e i capelli radi di San Giuseppe, le pieghe della camicia e le mani gonfie dallo sforzo; la forza della candela che arde - schermata dalla mano del bambino che diventa trasparente - e rimanda sia a un’esperienza religiosa che umana, spirituale e  terrena. Perché la luce della candela esalta sia gli oggetti della scena (gli strumenti del falegname e quel truciolo arricciato che sembra addirittura afferrabile) sia diventa fonte salvifica, in quanto emanata dal volto di Gesù, simbolo dell’incarnazione divina. 
Difatti nella simbologia del quadro c’è un chiaro riferimenti alla croce (la trave di legno a terra fermata dal peso del piede di Giuseppe, entro la quale egli pratica un foto con un succhiello), sulla quale si giocava la salvezza del mondo secondo il Cattolicesimo e la fronte corrugata di Giuseppe sta a indicare l’angoscia di un padre per il destino del proprio figlio.
Ma è come se quest’immagine volesse comunicarci che, laddove gli altri vedono solo la fine, soltanto morte, la luce di Cristo ha dato un nuovo significato della notte e dell’oscurità: il significato di fede e speranza.
Ed è proprio quello che potremmo cantare in chiesa il prossimo fine settimana, quello che un canto conosciuto e divenuto popolare come “Astro del Ciel” ripete, per celebrare Gesù luce del mondo:
“Luce dona alle genti, pace infondi nei cuor”


mercoledì 14 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - Part III


Come anticipavo nel post precedente, la festività di Santa Lucia "regina di luce" è molto sentita in tutta la Scandinavia, visto che rappresenta un momento di allegria prenatalizia nei freddi inverni del Nord, in cui non è raro trovare casette di legno sommerse o comunque circondate di neve e ghiaccio ma vedere anche da lontano le calde luci delle candele che illuminano il loro interno. 
E tutto perché nelle case di legno (che sono tipiche del paesaggio extraurbano) non c’è l’usanze di scuri o tapparelle e le persone non si nascondono e non si vergognano se i passanti (passanti, non guardoni, ovviamente) guardano in casa attraverso i vetri. Anzi, il più delle volte espongono oggetti natalizi (candelabri dell’Avvento, angioletti, casette innevate, Babbi Natale, renne di paglia ecc.) sui propri davanzali, in modo che siano ben visibili dall’esterno. 
E il tutto riporta all’idea tradizionale della casa-focolare. 
A tal proposito è facile immaginare come in occasione della prima grande festa pre-natalizia si aprano ufficialmente le danze delle grandi tavole imbandite.
Per questo, come anticipavo ieri, avendo deciso di festeggiare anche io nel mio piccolo, per cena e per un ospite non svedese, ma incuriosito e affascinato da questo paese, ho preparato un menù svedese. Pietanze consumate anche al di là della festa del 13 dicembre, visto che il pesce è l’alimento principale della Svezia, ma che hanno permesso di avvicinarci anche di più a quelli che ieri sono stati i festeggiamenti a 2000 km di distanza.

Il Menù della serata era quindi composto da:

ANTIPASTO

Tartine (Smörgåsbröd) miste di salmone, gamberetti e sardine (corrette sarebbero state le arringhe, ma qui in Italia non facilmente reperibili); 



SECONDO
Le tentazione di Jansson (Jannsons Frestelse), pasticcio (o gratin) di patatecipolla, sardine panna davvero saporito, a cui, dato il nome, è difficile resistere (chiaramente se piacciono gli ingredienti appena nominati);



DOLCE
Dulcis in fundo, anziché i soliti pepparkakor, i biscotti di cannella, cardamomo e chiodi di garofano macinati, che tutti possiamo assaggiare e comprare anche all’Ikea, i lussekatter, letteralmente “gatti di Lucia”, che sono delle briochine di zafferano e uvetta (e dovrebbero avere la forma di S o di 8), di cui parlavo nel post precedente.



E per accompagnarli, il glögg, il vin brulè svedese, arricchito con mandorle e uvetta (per fortuna anch’esso acquistabile all’Ikea)
Ma ATTENZIONE, questa bevanda va servita rigorosamente calda!!!
Non bisogna infatti dimenticare che in Svezia le temperature invernali arrivano anche a -20°C e il glögg lo bevono per scaldarsi.


God Aptit!

Il tutto arricchito da una tavola apparecchiata con i classici colori del periodo (bianco, rosso e verde) et dulcis in fundo… per rendere l’ambiente caldo e accogliente, potevano mica mancare le candele!??



Una curiosità da aggiungere: il periodo natalizio in Svezia è all’insegna dello zafferano anche perché con il suo colore giallo simboleggia la luce proprio nel periodo più buio dell’anno.

martedì 13 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - Part II


Tutti sappiamo cose siano le candele. Ma a cosa serve la candela, oltre a fare luce? Se uno vi dice “candela” a cosa la associate?
Ebbene, viste le “mie origini” svedesi, io sono cresciuta con le candele sempre accesa in casa, soprattutto durante i pasti o comunque per creare atmosfera. Almeno una, poi nel periodo dell’Avvento e del Natale, chiaramente aumentavano di numero.
Per me era naturale averla accesa e siccome parte della mia vita l’ho vissuta all’estero, mai nessuno ha chiesto il motivo dell’uso della candela a tavola o ha fatto commenti sgradevoli.
Arrivata in Italia all’età di 11 anni, in casa mia la tradizione è continuata. Ci teneva quasi di più mio padre, italiano, che non mia madre, svedese.
Ma mi ricordo perfettamente quando un giorno avevamo ospiti (italiani) e tutti hanno storto il naso quando hanno visto le candele accese.
“La candela l’accendo in chiesa”, “Le candele sono per i morti”, “Perché avete acceso le candele che c’è luce e si vede benissimo?”
Me lo ricordo come se fosse successo ieri. Ci rimasi molto male e ancora di più i miei genitori, per i quali accendere la candela era segno di festa.
Poi con gli anni le cose sono un po’ cambiate. Artisti hanno capito che potevano creare sculture con le candele, fare delle vere opere d’arte, crearle di varie forme e colori e quindi è un po’ nata l’idea che si possono anche collezionare e usare come bellissimi soprammobili.
Lo penso anche io, anche se resto dell’idea che la candela, oltre a fare luce, serve per creare atmosfera, per rendere l’ambiente caldo, accogliente e sereno. E’ una piccola fiammella che riscalda il cuore e genera gioia.

La candela è chiaramente LUCE, ma perché ne parlo in questi termini? Perché oggi è Santa Lucia e quindi vorrei proseguire il mio percorso di “Luce e Colore”, illustrando una tradizione cara alla mia famiglia.

“Carla, è ora!”
“Che ore sono?”
“Manca poco alle sette, dai che andiamo a svegliare papà!”
Così mi svegliava ogni anno mia mamma la mattina di Santa Lucia. Così per anni, finché io non sono diventata adolescente e come è facile che sia per un’età difficile, mi sono ribellata a questa tradizione profondamente radicata in tutte le famiglie svedesi.
Anche se non abitavamo in Svezia (ma in giro per l’Europa), mia mamma voleva continuare a perpetrare questa usanza che anche lei aveva praticato in gioventù quando ancora abitava con la sua famiglia d’origine nel suo paese. Aveva piacere che anche io mantenessi in un certo senso il legame con gli usi e costumi svedesi, anche se, almeno quando ero piccolissima, in piena incoscienza.
Ora ricordo con un sorriso quelle fredde mattine invernali quando lei mi chiamava per potermi vestire da “Santa Lucia” e andare a svegliare mio padre. Indossavo un camice bianco e una corona di foglie verdi con tante candeline accese (non vere, ma elettriche) e accompagnandomi, mi faceva raggiungere nella totale oscurità della casa la loro stanza da letto, dove mio padre dormiva ancora beato. In mano un vassoio con sopra una tazza di caffè caldo (questo non in tenera età, ma quando ero un po’ più grandicella) e dei biscotti allo zafferano (Lussekatter) e intanto cantavamo insieme la canzone “Sankta Lucia”, che quindi lo svegliava.
Così, semplicemente, per ricordare la festa di questa santa che in un certo senso in Svezia (e in Scandinavia in generale) segna l’inizio dei festeggiamenti pre-natalizi, “festa della LUCE” nel momento più buio dell’Inverno nordico.
Anche in certe parti d’Italia il 13 dicembre è giorno di grande festa, ma sicuramente si hanno usanze diverse da questa.
Il perché in Svezia si usi mettere una corona di candele e si portino le vivande agli addormentati, è presto svelato perché rimanda alla storia di questa coraggiosa santa.
Lucia, infatti, fu una delle prime cristiane, in un periodo in cui i discepoli di Gesù erano ferocemente perseguitati ed erano costretti a nascondersi per pregare. Si ritrovarono perciò nelle catacombe e, di notte, Lucia portava loro di nascosto qualcosa da mangiare. Per vedere meglio la strada al buio e, allo stesso tempo avere le mani libere per trasportare cibi e bevande, Lucia si metteva in testa una corona di candele accese. Un giorno i soldati dell'imperatore di Roma la catturarono e la uccisero, ma le sue buone azioni non furono dimenticate; la Chiesa la proclamò Santa.

Quest’anno, in ricordo delle mie origini e della mia mamma che ormai non c’è più da tre anni e mezzo, ho pensato di festeggiare di nuovo questo giorno, anche se in maniera un po’ differente e domani non mancherò di raccontare come è andata.
Però intanto riporto il testo della canzone (originale svedese):

Natten går tunga fjät
rund gård och stuva;
kring jord, som sol förlät,
skuggorna ruva.
Då i vårt mörka hus,
stiger med tända ljus,
Sankta Lucia, Sankta Lucia.

Natten går stor och stum
nu hörs dess vingar
i alla tysta rum
sus som av vingar.
Se, på vår tröskel står
vitklädd med ljus i hår
Sankta Lucia, Sankta Lucia.

Mörkret ska flykta snart
ur jordens dalar
så hon ett underbart
ord till oss talar.
Dagen ska åter ny
stiga ur rosig sky
Sankta Lucia, Sankta Lucia.

lunedì 12 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - Part I


Dopo l'introduzione di ieri, comincio il mio percorso sulle emozioni trasmesse da luci e colori a partire da qualcosa di "profano", che è la Mostra della Pixar ospitata presso il PaC di Milano e visitata un paio di giorni fa.
Quando ormai un mese fa vidi la pubblicità sui pannelli scorrevoli della metropolitana di Milano, subito pensai di volerla andare a vedere. Sicuramente perché sono un'appassionata di cinema e in secondo luogo perché i cartoni animati della Pixar sono certamente, dopo quelli dell'infanzia della Disney, i migliori del nostro tempo. 
E' chiaro che negli ultimi 30 anni l'animazione è cambiata radicalmente e con l'utilizzo dei computer, gli strumenti e le tecniche dei disegnatori sono tutta un'altra cosa, però a mio avviso, al di là della grandiosità delle singole opere in sé (eh già, un cartone animato è un'opera, nonché grandiosa dato che non sono attori in carne ed ossa a recitare, ma personaggi frutto della fantasia di persone geniali), è cresciuta a livello contenutistico. Storie che insegnano, che educano, che fanno riflettere su quello che è la nostra realtà; dialoghi importanti, ironici e divertenti, che coinvolgono qualunque spettatore, grande o piccino; musiche studiate come per i grandi film della storia del cinema, per non parlare della genialità di idee che stanno alla base di ciascun film (a chi sarebbe mai venuto in mente di fare un film dove i personaggi sono delle macchine e la scena, tutta, in cui agiscono, è la riproduzione di qualunque ambiente reale che noi tutti frequentiamo?!?).
Queste le mie idee circa l'animazione della Pixar, ma quando sono andata alla mostra, non sapevo davvero che cosa aspettarmi. Una mostra piena di modellini e pupazzi? Una mostra con tanti schermi che proiettano spezzoni di film? Fotografie e spiegazioni su come si realizza un film d'animazione? Davvero non sapevo che cosa aspettarmi e non sono nemmeno voluta andare a leggere commenti e spiegazioni online.
Morale? Sono uscita dalla mostra più che entusiasta e più che soddisfatta. Mostra allestita in maniera tale da coinvolgere sia i grandi che i bambini, anche se, a mio avviso, è dedicata di più a un pubblico adulto che può veramente apprezzare quello che sta dietro a un film visto al cinema o in dvd.
Mai mi sarei immaginata di vedere un percorso di 500 opere, un vero ed emozionante viaggio attraverso l'ARTE e la creatività della Pixar, nè tantomeno mi sarei immaginata di vedere schizzi, bozzetti, disegni originali, gli storyboard dei numerosi artisti che hanno collaborato alla realizzazione dei vari film. Per non parlare della cronistoria della Pixar e delle precise spiegazioni circa le fasi di realizzazione di un film.


Ma cosa c'entra tutto questo con il tema del post?
E' presto detto. Il tutto è partito dalla scoperta dell'esistenza del colorscript.
Non ne ero a conoscenza e a primo impatto mi sembravano delle tavole colorate rappresentanti alcune scene di un film, senza troppa definizione e senza troppi dettagli.
Ma leggendo la spiegazione, che ora riporto, mi si è "accesa la lampadina" e ho subito pensato che l'argomento era in "perfetta sintonia" con il mio blog.



COLORSCRIPT
Un colorscript è uno strumento artistico che traduce visivamente il contenuto emotivo di una storia attraverso l’uso del colore, della luce e dell’atmosfera. Il colorscript raffigura l’intera storia in ordine cronologico al fine di permettere la visualizzazione della struttura cromatica di base da utilizzare nell’intero film. Il colorscript è uno dei primi strumenti
che consente di vedere la storia nella sua interezza, una sorta di vista in bassa risoluzione che rivela l’intera traiettoria emotiva del film. Il colorscript funziona perché rimuove il dettaglio e le idee vengono presentante nella loro forma più concisa.




In poche parole, il colorscript è uno strumento che riesce a descrivere un po' tutto un film in una quarantina/cinquantina di immagini chiave che sono dipinte e rappresentano PROPRIO i CAMBIAMENTI di EMOZIONI, di UMORE di tutto il film e il COLORE supporta tali cambiamenti. E' quindi tutta un'esplorazione di colori per creare un livello emotivo.
Un gioco di luci e di scelte cromatiche; di colori tenui, luminosi o tetri a seconda dell'emozione. E tutto in maniera tale per cui anche un cartone animato possa in un certo senso sembrare palpabile, affascinante, ricco, quasi reale e trasmettere EMOZIONI.
E oltre a questo i movimenti, le azioni, i dialoghi dei personaggi sono pensati su carta e sui supporti di disegno digitale con grande attenzione alla fotografia delle inquadrature e all'illuminazione, per cui tutto rimanda al concetto di Emozioni di Luce e Colore.
Anche io facevo parte di quella schiera di persone che non sapeva che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar, utilizzano  non solo i mezzi del digital media, ma i mezzi propri dell'arte: il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura. E credo sia proprio questo che rende la mostra davvero unica nel suo genere. 
Non solo per fans e semplici spettatori di un film d'animazione, quanto per veri appassionati di cinema, di computer grafica e di arte. Nel modo più assoluto. 
Io che sono cresciuta con i pennarelli in mano, che amavo disegnare, scegliere con cura i colori e sperimentare varie tecniche di disegno, ma che ho lasciato morire questa mia passione nonché discreta capacità quando ho imparato a scrivere, a vedere tutti quei colori, tutti quei quadri realizzati da veri artisti, mi è tornata la voglia di prendere in mano la matita, la china e i colori acquerellabili. 
Assolutamente consigliata! Dura fino al 14 febbraio 2012!


domenica 11 dicembre 2011

Emozioni di Luce e Colore - Intro


L'idea di questo post, o meglio di una serie di riflessioni circa il concetto di "luce e colori" (suddivise in parti e postate da qui a fine mese), mi è venuta l'altro giorno dopo aver visitato due bellissime mostre a Milano: quella per i 25 anni di animazione Pixar e quella allestita a Palazzo Marino, composta da soli due dipinti, ma di grandissimo significato.
Perché entrambe, seppur così distanti e differenti, mi hanno portata a pormi delle domande riguardo al concetto di luce e colore... 
Tutti sappiamo che c'è un legame fra di loro. Banalmente al buio non si vede nulla, nè tantomeno i colori, mentre alla luce vediamo le cose e le vediamo a colori.
Ma vi siete mai chiesti quale è il vero significato della luce? Che cosa rappresenta per voi? Che cosa vi trasmette?  
La luce fa parte della nostra vita, serve a completare il nostro senso della "vista" ed è tanto scontata che, se viene a mancare quella naturale, ricorriamo immediatamente a quella artificiale. 
Ma pensiamo ad esempio a una fotografia notturna o a una scena di un film girata al buio, nell'oscurità della notte... Perché l'autore ha scelto di rappresentare un istante, un'azione al buio e non alla luce del sole o dei fari?!?
Perché al di là di ogni spiegazione scientifica, luce e colori trasmettono emozioni, perché  luci e colori creano atmosfera, perché determinate luci e colori sottolineano particolari che in altre condizioni (di luce e colore) non vedremmo, perché a seconda della loro intensità, luci e colori, mostrano i cambiamenti di stato, di umore, di importanza degli oggetti e delle forme viventi, tanto che a volte anche un oggetto inanimato ci sembra vivo e in movimento.


Quindi ispirata da ciò che ho visto alle due mostre, ho pensato a un percorso pluritematico, che evidenzi il concetto di luce e colore e delle emozioni trasmesse universalmente e a livello personale.
Il tutto inoltre, in un periodo ben specifico dell'anno... quello in cui tutto sembra accendersi "come le luci di Natale che riscaldano quello che attraversano", come cantavano gli 883 tanti anni fa. In un periodo dell'anno in cui il concetto di "luce" ha un significato ben specifico per i cristiani; in un periodo in cui, oltre a luci e lucettine elettriche, ritroviamo anche le candele come fonte di illuminazione delle case private e che creano una calda atmosfera, senza che per questo qualcuno subito le associ con disprezzo ai luoghi sacri. Ma a questo tornerò in un secondo momento.

















venerdì 18 novembre 2011

"IO PROTEGGO I BAMBINI" - Un anno dopo


E' passato un anno da quando con i Podisti da Marte ho partecipato alla Giornata mondiale dei Diritti dell'Infanzia a Milano e domani si replica, ma questa volta a Genova, così tragicamente colpita dall'alluvione all'inizio di questo mese. E quindi Terre des Hommes e i Podisti da Marte hanno nuovamente unito le forze e deciso di destinare il ricavato delle iniziative genovesi (cena al Galata Museo del Mare + Maratona del Fiocco Giallo) alla Scuola Materna Chighizola.

E allora sono PRONTA per salire sul "treno marziano" per portare il mio SOSTEGNO ai genovesi e in modo particolare a tutti i bambini!


Di seguito il mio articolo relativo alla missione milanese "Io proteggo i bambini" del 2010

Mille casi di violenza sessuale su minorenni, 33 bambini o adolescenti uccisi e 3.434 persone denunciate o arrestate per questo tipo di reati: sono questi i dati per niente rassicuranti che la Polizia di Stato ha diffuso nel 2009. E se si pensa che si parla dell’Italia che in fin dei conti è un Paese moderno e sviluppato, la preoccupazione aumenta.
Per questo, in occasione della Giornata Mondiale del 19 novembre per la Prevenzione di tutte le forme di violenza sui minori (il simbolo è un fiocco giallo), e della campagna quindicinale “Io proteggo i bambini” lanciata da “Terre des Hommes”, che da 50 anni opera per proteggere i bambini di tutto il mondo e attualmente è presente in 70 Paesi per assicurare a ogni bambino scuola, educazione informale, cure mediche e cibo, anche la città di Milano ha voluto fare qualcosa per sensibilizzare l’opinione pubblica affinché non si abbassi la guardia sul fenomeno ma si aumenti l’impegno e si rafforzino le misure per la protezione dei minori.
La prima fra le molte iniziative organizzate e patrocinata dal Comune è stata la “minimaratona in giallo” che il 13 novembre ha visto correre per le vie del centro storico i “Podisti da Marte”, la Critical Mass capitanata da Fabrizio Cosi che ogni mese percorre circa 10 km a passo libero, appoggiando di volta in volta un’associazione benefica.
Con la loro solita generosità i “marziani” hanno abbracciato questa giusta causa e quindi la proposta di “mettersi in giallo”. I fedelissimi del gruppo e gli esordienti erano tantissimi e tutti indossavano una maglietta gialla.
Tra di loro si poteva riconoscere inoltre l’attrice Andrea Osvart, testimonial di “Terre des hommes”, che insieme ai “marziani” ha regalato sorrisi e cercato di contagiare le persone incontrate nelle prime ore di un sabato mattina milanese.



Al termine di questa nuova “missione” ho potuto incontrare Fabrizio Cosi che con la massima disponibilità ha risposto con entusiasmo alle mie domande.

Chi sei tu e chi è tutta questa gente che c’era qui oggi?
Io sono Fabrizio Cosi e sono colui che ha inventato questo esperimento sociale che si chiama “I Podisti da Marte”. Noi da quasi due anni, perché abbiamo cominciato nel febbraio 2009, corriamo nel centro di Milano convocandoci con il passaparola, mail, facebook e conoscenze personali e ogni volta corriamo per supportare una Onlus diversa. Quindi in pratica facciamo un’azione di sensibilizzazione nostra, quindi già noi che corriamo, e anche di Milano. Mentre corriamo regaliamo dei fiori finti sui quali è spillato il messaggio di supporto a favore della Onlus per la quale corriamo e quindi regaliamo anche un sorriso ai cittadini, ai turisti, anche e soprattutto giapponesi, e ai passanti che incontriamo. Percorriamo tutto il centro di Milano che vuol dire Corso Vittorio Emanuele, la Galleria del Duomo, il Palazzo Reale e scendiamo anche nella metropolitana, anche se oggi non l’abbiamo potuto fare perché avevamo i vigili al seguito che non potevano scendere con le moto. Lo facciamo una volta al mese e le persone che erano con noi oggi supportavano la Onlus “Terre des Hommes”. Questa è la settimana dei diritti internazionali del bambino, quindi la campagna era “Io proteggo i bambini”. L’abbiamo chiamata “minimaratona del fiocco giallo” perché i colori dei marziani sono il giallo, il rosso e l’arancio e per simboleggiare l’azione abbiamo ‘nastrato’ di giallo alcuni monumenti di Milano: quindi il cavallo di Piazza Duomo, la Fontana di Piazza San Babila e la statua di Leonardo in piazza della Scala”

Chi le sceglie queste associazioni ogni volta e in base a quale criterio?
Nel primo periodo le sceglievo io perché non ci conosceva nessuno. Adesso sono loro che scelgono noi, che vengono a cercarci e questo certamente ci fa molto piacere e noi certe volte ne supportiamo addirittura due alla volta. Nel senso che corriamo per una però magari facciamo la raccolta di materiale per un’altra prima di partire.
                                                                                                                                                             
Questa volta per esempio è stato coinvolto il Comune. E’ sempre così?
Questa era una campagna importante e quindi “Terre des Hommes” ha ottenuto il patrocinio dell’Assessorato alla famiglia del Comune di Milano, del Ministero delle Pari Opportunità e dei Comuni italiani. Quindi in questo caso era una cosa organizzata con autorizzazioni e quant’altro. Noi dal canto nostro corriamo liberamente fermandoci ai semafori, quindi rispettando il Codice della strada”

Soddisfatto quindi di questa missione?
Soddisfatto della sensibilizzazione e dell’entusiasmo che è quello che ci dà la carica.


Come ultima cosa segnalo il sito www.podistidamarte.it e se anche voi avete qualcosa da dire… ditelo con un fiore, indossando una maglietta con i colori ufficiali dei marziani e unendovi al gruppo!





domenica 13 novembre 2011

Vivere la vita con entusiasmo, ragione e sentimento


Conoscevo già questa stupenda poesia, un vero inno alla vita, perché venga vissuta sempre con entusiasmo e passione... ma sentirla recitata ieri sera mi ha emozionato tantissimo e ricordato quanto poco in realtà basterebbe fare  per non morire dentro, a poco poco.
Piccoli gesti, un sorriso e qualche parola per esprimere quello che ci detta il cuore; viaggiare e leggere che ci fanno muovere, andare oltre noi stessi e ci arricchiscono interiormente; essere curiosi e rischiare anche quando il rischio ci fa paura e soprattutto mai perdere pazienza e speranza perché sono quelle che  ci porteranno a realizzare i nostri sogni.




 Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda: a
nche se erroneamente attribuita al poeta cileno dato che l'autrice è Martha Medeiros, scrittrice brasiliana)



giovedì 3 novembre 2011

La "mia" Etiopia




Sono già passate alcune settimane dal mio ritorno in Italia, ma ancora oggi, quando la mattina apro gli occhi, posso constatare quanto l’esperienza in Etiopia mi abbia lasciato, già a partire dalla gestione del tempo e dallo scandire delle ore. Già, il tempo, quello che noi riteniamo non essere mai abbastanza, rapiti come siamo dalla quotidianità frenetica fatta di impegni lavorativi e familiari. Eppure è la nostra vita e anche a me sembra normale che sia così, ma mi è bastato andare in Etiopia, seppure solamente per una ventina di giorni, per realizzare come la suddivisione della giornata nelle 12 ore del giorno e della notte, l’uso del calendario giuliano piuttosto che quello gregoriano (hanno da poco festeggiato l’arrivo dell’anno 2004) e il loro stile di vita basato su ritmi lenti e cadenzati possano coinvolgerti al punto tale che a distanza di tempo ancora ne “risenti”.
Poche righe non sono certamente sufficienti per raccontare l’emozione di qualcosa vissuto intensamente. E questo perché ho avuto la possibilità di vivere l’Africa lontano da ambienti “colonizzati dai turisti”.
Potrei parlare dei molteplici colori che si trovano in natura, così come nei tessuti dei loro abiti tradizionali; delle atmosfere e degli odori di incenso e di spezie che si propagano nell’aria; del “caldo africano”che tutti abbiamo sentito nominare migliaia di volte nei telegiornali ma che, ironia della sorte, in Etiopia non è arrivato (è stato infatti uno shock rientrare in Italia a fine agosto, lasciando temperature gradevoli mai al di sopra dei 23 gradi, per arrivare in quello che era un vero forno); della vegetazione e degli animali incontrati lungo i vari tragitti in macchina, che mi hanno permesso di capire che i protagonisti sono loro e non tu, motorizzato; dei ritardi e delle mancanze tipicamente africani che si ritrovano in qualunque tipo di situazione, lavorativa e non, come ad esempio arrivare in ritardo ad un appuntamento “perché piove”; della mentalità così diametralmente opposta alla nostra (dove ad esempio sembra logico costruire alberghi per i turisti ma poi arrestarli se fanno foto al mercato... chi è quindi il turista che, sapendolo, ci fa ritorno o pubblicizza l’esperienza?) e della disorganizzazione latente, anche se ho capito che l’Africa è così: funziona a modo suo e soprattutto al ritmo suo; della musica sia sacra che non, che viene suonata e cantata con gioia manifestata espressamente attraverso balli e battiti di mani da giovani e non; del semplice salutarsi e chiedersi a vicenda come si sta che richiede comunque molti passaggi per un rito assai più complesso del nostro stile più secco e diretto se non addirittura omesso; delle difficoltà oggettive nel parlare non conoscendo io la loro lingua e loro pochissimo l’inglese, ma è stato bello vedere come il linguaggio non verbale davvero possa farti comunicare con qualunque popolo e nella maniera più semplice e genuina; dei ragazzi che ti chiedono a ripetizione, come un gioco che li diverte, come ti chiami e che quando ti vedono arrivare in lontananza ti corrono incontro e fanno a gara per abbracciarti, tenerti per mano o giocare con te; del fatto che noi “bianchi”, riconoscibili e identificabili come stranieri (e richiamati con un “You you you” dai bambini lungo la strada, dove “you” sta proprio a indicare “straniero”), ai loro occhi siamo provvisti di quantità di denaro o comunque di introiti che loro (nella maggior parte) non vedranno mai in tutta la loro vita e quindi, come in un meccanismo innato, ti chiedono ripetutamente e insistentemente di dare loro denaro, indumenti, una “caramela”, una “mastica” oppure dei “biscuits”, nel loro linguaggio che spesso diventa un misto di amarico e inglese per farsi capire; ma anche del contrario e cioè della loro ospitalità e cordialità, perché se io sono andata lì per fare un’esperienza di volontariato dedicando loro il mio tempo, le mie conoscenze e capacità nel limite del possibile, le persone con cui sono entrata maggiormente in contatto, mi hanno accolta con calore, con gioia mi hanno invitata a bere del caffè a casa loro, a mangiare injera e popcorn dolci e mi hanno regalato i loro prodotti tipici da portare in Italia, e questo nonostante i problemi quotidiani (economici e non solo) che li affliggono. Le cose da dire sarebbero veramente un’infinità, ma in cima a tutto questo elenco non posso che mettere i sorrisi donati e ricevuti con spontaneità e gioia, che non possono che ricordare costantemente che siamo tutti fratelli e che l’amore può veramente superare le difficoltà create/volute dall’uomo.
Credo infatti che l’entrare in contatto con le persone del luogo sia stata la più importante lezione di vita e di amore che potessi immaginarmi di ricevere. E sicuramente è questa l’emozione più grande che porto nel cuore.
“Quando tornerai, sentirai anche tu il “mal d’Africa”” mi era stato detto prima della partenza da chi in Africa ci era già stato. Anche io? E perché?  E’ stato normale interrogarsi su che cosa sia questo “mal d’Africa” di cui si è sempre sentito parlare. Ebbene sì, ora anche per me non è più un mistero! E anche se è davvero difficile da spiegare ai “non malati”, posso affermare con certezza che i suoi sintomi si sono manifestati fin dal ritorno alla mia quotidianità, ma che di buono hanno che ti infondono una nuova visione della vita, carica di valori come la positività, la speranza, l’amore donato e un pensiero rassicurante che, se Dio vorrà, mi porterà a far ritorno in quella meravigliosa terra.