Eccomi a riprendere il discorso lasciato in sospeso
settimana scorsa. Mancano pochi giorni al Natale, a quella notte santa in cui
l’intero mondo cristiano ricorda e celebra la nascita di un bambino che si è
fatto come noi, per essere uno come noi e mi sembra questa la migliore
occasione per cominciare a parlare dei dipinti di De La Tour che, come già
anticipato in un post precedente, ho potuto ammirare a Palazzo Marino a Milano.
E’ ormai il quarto appuntamento con il Louvre a Milano
(organizzato da Eni con la collaborazione del Comune), ma quest’anno si è
scelto di ospitare due opere a tema religioso che dunque rimandano al
significato più vero dei festeggiamenti natalizi.
Entrando nella sala allestita per la mostra, si incontra per
primo il dipinto intitolato “L’Adorazione dei pastori”, ma volendo dare un
senso a tutto questo, al mio percorso di “Luce e colore”, parlerò prima del
secondo dipinto, di “San Giuseppe falegname”.
In quest’opera sono soltanto due i protagonisti: San
Giuseppe falegname assistito da suo figlio Gesù ancora bambino.
In apparenza buia, il pittore ha giocato fortemente con luci
e ombre per svelare profondi significati.
Tant’è che la parte più significativa del dipinto sta
proprio nella luce di una fiamma che esalta i colori caldi e ha la capacità di
coinvolgere l’osservatore.
La calda luce di una candela, retta da Gesù Bambino, che
illumina lo spazio lavorativo del padre, quanto l’intera scena; il bagliore
della candela da lui retta, che accende il dipinto dall’interno, illuminando il
suo volto così come la fronte corrugata e i capelli radi di San Giuseppe, le
pieghe della camicia e le mani gonfie dallo sforzo; la forza della candela che
arde - schermata dalla mano del bambino che diventa trasparente - e rimanda sia
a un’esperienza religiosa che umana, spirituale e terrena. Perché la luce della candela esalta sia
gli oggetti della scena (gli strumenti del falegname e quel truciolo arricciato
che sembra addirittura afferrabile) sia diventa fonte salvifica, in quanto
emanata dal volto di Gesù, simbolo dell’incarnazione divina.
Difatti nella simbologia del quadro c’è un chiaro
riferimenti alla croce (la trave di legno a terra fermata dal peso del piede di
Giuseppe, entro la quale egli pratica un foto con un succhiello), sulla quale si
giocava la salvezza del mondo secondo il Cattolicesimo e la fronte corrugata di
Giuseppe sta a indicare l’angoscia di un padre per il destino del proprio figlio.
Ma è come se quest’immagine volesse comunicarci che, laddove
gli altri vedono solo la fine, soltanto morte, la luce di Cristo ha dato un
nuovo significato della notte e dell’oscurità: il significato di fede e
speranza.
Ed è proprio quello che potremmo cantare in chiesa il
prossimo fine settimana, quello che un canto conosciuto e divenuto popolare
come “Astro del Ciel” ripete, per celebrare Gesù luce del mondo:
“Luce dona alle genti, pace infondi nei cuor”
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