giovedì 22 ottobre 2015

COSI non si fa, Fabrizio

E’ il 22 ottobre ed è giovedì. In apparenza un giorno come un altro, senza grandi eventi.
Non è un bel periodo questo perché se 8 anni fa il diavolo cancro era uscito dalla porta, da qualche mese è rientrato dalla finestra acchiappando un’altra persona che presto ci lascerà.
Non li ha mai conosciuti ma presto il papà di Marino potrà incontrare i miei genitori e tutti insieme dall’alto ci guarderanno e ci accompagneranno.

Non sono quindi giornate facili e i cuori portano già un certo peso, però, dato che nessuno sa quanto gli è dato ancora da vivere, la vita va avanti e si cerca sempre di trarre il meglio da ogni singolo giorno che ci è concesso.

Come ogni mattina apro il frigorifero e, sarà un caso o davvero qualcosa di superiore a noi (sesto senso? Un messaggio divino?), il mio primo pensiero va a Fabrizio. Da un lato sorrido, dall’altro mi domando perché mio marito ha accettato da lui questa enorme forma di formaggio grana che da qualche giorno occupa il ripiano basso del frigorifero.
Proprio l’altro giorno Fabrizio ci ha detto che non l’avremmo tenuto a lungo, forse consumato alla prossima missione, ma tutti i giorni continuo a pensare che manca ancora troppo tempo e che dobbiamo trovare una soluzione alternativa.
Sarà quindi un caso che da domenica scorsa penso a Fabrizio ogni volta che apro il frigorifero?
Adesso, dodici ore dopo, mi viene da pensare che invece potesse essere un segnale.
Esattamente come il messaggio pieno di affetto che giusto ieri lui aveva scritto a Marino.
Gliel’ha detto per tempo che lo considerava come un fratello minore e che gli voleva un mondo di bene. E questa è una grande ricchezza, Marino.
Non tutti ti hanno visto e sentito così di recente. Me compresa. E sicuramente perché non sono né una runner, né purtroppo la persona più attiva all’interno del gruppo dei Podisti da Marte.

E difatti è proprio da Marino che vengo a sapere cosa ti è successo. Appena alle 9 di mattina hai saputo sconvolgere la mia giornata, Fabrizio. Cose COSI non si fanno.
Sto chiacchierando con una collega quando mi arriva la notifica del nuovo stato facebook di mio marito.
Leggendolo velocemente colgo solo tre parole: “Fabrizio” – “non ci sei più” – “volevo bene”
Subito penso a uno scherzo… scritto così poteva anche sembrarlo.
Ma qualcosa mi dice di rileggerlo bene e… la giornata da tranquilla e “senza grandi eventi” si trasforma in tragedia.
Dire che sono sempre i migliori che se ne vanno troppo presto sembra una frase fatta, di circostanza, ma questa volta è proprio COSI’. 

Che poi, caro Fabrizio, oggi mi hai fatto odiare il mio lavoro più che mai.
Hai idea di cosa significhi lavorare sui social e quindi avere Facebook perennemente aperto in ufficio in un giorno del genere? Dovermi in qualche modo trattenere dal piangere tutto il tempo perché oggi Facebook mi notifica solo messaggi di AMORE verso di te che ci hai lasciati così senza un saluto?! Secondo te, lavorato io oggi?! Assolutamente no!
Penso a te tutto il tempo, sto guardando foto, leggo messaggi, tutto questo fa male.
Perché Fabrizio mi avevi conquistata… con la tua energia, il tuo sorriso, la tua immensa voglia di vivere, l’altruismo e la generosità, il tuo essere amico di Marino e il tuo volermi bene.
Sì, perché Fabrizio voleva bene a tutti i suoi “Marziani”, anche a quelli meno attivi.

Quando ancora non lo conoscevo e sentivo Marino che parlava sempre, ammetto che non capivo. Mi parlava di questo Fabrizio, delle varie corse, delle missioni, dei progetti futuri e rideva nel raccontarmi certe scene e nel ripetermi le frasi ironiche e sarcastiche che il Capitano rivolgeva a lui e agli altri.
Fabrizio veniva nominato in continuazione, Marino lo adorava. Col tempo ho capito che aveva finalmente trovato una persona con i suoi stessi pensieri e valori. Con Fabrizio si sentiva completo perché riusciva a fare quello che aveva da anni sognato (“Cambiare il mondo”) ma senza riuscirci appieno.
Fabrizio era COSI’… un vulcano di parole, pensieri, opere, iniziative in continua eruzione ed era impossibile restare indifferenti. L’ho capito subito quando l’ho incontrato la prima volta e ha conquistato anche me.

Mi passano davanti agli occhi tante scene vissute e le risate che mi hai fatto fare durante alcune missioni e soprattutto durante i tre anni di tour della Color Run.
Mi ricordo il tuo ultimo abbraccio e i pensieri premurosi che mi arrivavano da te tramite Marino.
Penso alla tua adorata Claudia e al piccolo Vito che aveva un padre speciale che noi tutti dovremo raccontargli.
Penso ai Podisti da Marte, a quello che hai fatto per noi marziani e per tantissime associazioni no profit e onlus, unendo lo sport alla beneficienza. Tutti i post su facebook e gli articoli della stampa lo dimostrano.
E ora cosa succederà?
Tu sei insostituibile, Fabri.
Noi tutti possiamo avere idee, progetti, entusiasmo per portare avanti i tuoi ideali, per aiutare il prossimo, ma non ho mai conosciuto nessuno come te COSI’ buono ma anche chiacchierone, sorridente, geniale, ironico, dissacrante e “follemente sano”.
Però stai tranquillo. Sicuramente uniremo le forze e continueremo a fare del bene così come tu ci hai insegnato. Se no, lo so già... non ce lo perdonerai mai.

Mi mancherai Fabrizio. Molto di più di quanto tu potessi immaginare. Non ti ho visto troppe volte nella mia vita, ma sono felicissima di averti conosciuto e per quel poco ti porterò sempre nel mio cuore.
Un giorno poi ci ri-incontreremo e chissà… forse riuscirai a convincere anche me a diventare una runner. D’altronde là tutto è possibile.
Grazie per tutto quello che hai fatto. La tua è stata una vita troppo breve e ancora potevi fare tanto ma sicuramente è stata piena. Molti dovrebbero prendere esempio da te.
Perché l’unica verità è che “Non sappiamo quando moriremo, ma possiamo decidere come vivere” (cit. Il Capitano de I Podisti da Marte)
Sbagliamo, non ci diamo mai importanza perché in un certo senso ci sentiamo invincibili, e invece il messaggio deve essere che dobbiamo sempre vivere la vita al meglio perché non saremo su questa terra per sempre.
Ciao Podista da Marte. Grazie a te i nostri cuori sono Gialli.






martedì 21 aprile 2015

Il colore dei ricordi

Avrebbe avuto 115 anni e invece sono 30 che non c’è più. Era mio nonno, il papà di mio papà, del quale non ho alcun ricordo se non alcune foto, troppo poche, che ci vedono insieme. 
Io e nonno Giannetto nel 1982


Mio nonno era nato nel 1900, figlio di un nuovo millennio e ultimo maschio di una famiglia di contadini che prima di lui aveva avuto altri tre figli. Tutti e quattro battezzati con la prima lettera dell’alfabeto.
Mio nonno si chiamava Armando ma era solo il nome dei documenti ufficiali, della burocrazia, delle dichiarazioni. Era invece Giannetto il nome nel quale si riconosceva maggiormente e con il quale tutti lo chiamavano, tanto che i suoi quadri li firmava G.B.
Mio nonno Giannetto era un pittore, un’artista professionista che ha lasciato traccia di sé in tantissimi quadri ora in mio possesso e anche avvicinando all’arte suo figlio Giancarlo, mio padre, che a sua volta dipingeva per diletto. Ma non solo, perché mio nonno insieme al fratello maggiore Alfredo trascorreva le giornate a decine di metri dal suolo, decorando pareti e soffitti di chiese e cappelline del ferrarese e quindi quelle che non sono andate distrutte, ancora tramandano la loro arte. Insieme “erano una squadra fortissimi”.
Un particolare dipinto da mio nonno
Purtroppo a quel tempo la sicurezza sul lavoro non era minimamente contemplata e fu così che la pagarono a caro prezzo. Correva l’anno 1938 e quella che doveva essere una normale giornata di lavoro, si trasformò in tragedia. Alfredo cadde dal ponteggio sul quale stava lavorando e mio nonno da quel giorno non fu più lo stesso.
Aveva perso il suo adorato fratello, il suo “socio in affari”, un’artista di grande livello (di lui mi resta un quadro che trovate in fondo al post e che dimostra a colpo d’occhio la sua bravura). Quando morì, Alfredo aveva 48 anni e con la sua morte svanirono i sogni dei suoi familiari di vederlo sposato e padre di famiglia.
Personalmente credo che mio nonno per tutto il resto della sua vita si sarà domandato perché a morire fosse stato Alfredo e non lui. Non dico che abbia avuto dei veri sensi di colpa, ma sicuramente un grande rimpianto.

Interno - prima del trasloco
Tra il 1992 e il 1994 con i miei genitori mi sono trasferita dalla Germania a Ferrara nella casa che era stata dei miei nonni Giannetto e Fiorita e vuoi il cambiamento drastico di Paese, città, lingua, piuttosto che l’avvicinamento alla famiglia paterna (zii, prozii, cugini, cugini di secondo grado), io quella casa la porto nel cuore. Tant’è che tuttora, e sono passati più di 20 anni, quando di notte sogno una casa, sogno quella.
Era una casa di inizio 1900, arredata con mobili vecchi di cui ancora ricordo l’odore, però l’ho fatta mia e ho dei bellissimi ricordi di quei due anni  in cui ci ho vissuto.
Purtroppo quello che ne resta sono solo alcune foto, scattate il giorno in cui ci siamo trasferiti nella nuova casa. 
Attualmente di quella casa resta la struttura esterna perché per il resto è stata completamente ristrutturata e suddivisa in tanti mini appartamenti.
Come appare oggi la palazzina

Personalmente non ci ho più voluto mettere piede nemmeno quando gli appartamenti erano stati messi in vendita. Ho preferito mantenere il ricordo di com’era, per quanto l’ho amata.

Quella casa poi portava un chiaro segno del passaggio di mio nonno. Pareti e soffitti erano stato accuratamente decorati da lui. Nel suo stile.
Ve ne potete fare un’idea da queste foto.
E poi c’era la sua stanza in cui si rifugiava a dipingere: la cosiddetta stanza del pittore che odorava di olio e di solventi e in cui imperava un “ordine artistico” per non dire caos creativo.
Mio nonno Giannetto
Questa stanza è rimasta tale e quale anche dopo la sua morte nel 1985. Sul cavalletto l’ultimo suo quadro finito e la tavolozza appoggiata presumibilmente dove l’aveva lasciata lui. Entrare lì era come tornare indietro nel tempo. Ti sembrava di vederlo ancora seduto su quella sedia con l’aria assente, tanti tubetti di colore aperti e un pennello in mano.
Un giorno, poco prima del nostro trasloco, sono andata a sedermi su quella sedia. Prima che andassero perdute cose importanti o addirittura gettate nella spazzatura, volevo dare personalmente un’occhiata. E fu così che ci trascorsi un bel po’ di tempo in quella stanza. Aprivo le ante degli armadietti e i cassetti, mettevo da parte ciò che poteva ancora essere utile, rimanevo colpita dal fatto che ancora ci fossero suoi biglietti da visita di 15 anni prima.
Ma soprattutto ci ho trovato “l’oggetto” che ha ispirato questo post.
In un cassettino c’erano delle matite abbandonate. Qualcuna appuntita, qualcuna ormai consumata e anche di marche diverse, ma essendo io sempre stata appassionata di colori e di tutto ciò che è creativo, non potevo lasciarle di certo lì. Lebez… Staedler… Multicolor… A.W.Faber… Faber Castell… Fila… e tanti diversi colori. Anche tonalità così chiare che ormai non sono più in commercio.
E così, con le sue matite in mano, ho pensato alla “storia” che potevano avere avuto e a come le avrei potute utilizzare io.

Qualche mese fa, a 20 anni da quei giorni pre-trasloco, aprendo un cassetto della mia vecchia scrivania, le ho ritrovate. Gelosamente custodite in un astuccio di pelle. Mai più toccate dall’ultimo disegno realizzato a matita alle superiori.
Perché crescendo mi sono resa conto che erano un tesoro, un ricordo di quel nonno che praticamente non ho mai conosciuto e che sicuramente è contento che la nipote non le abbia prima di tutto cestinate e poi, consumate.
Ed è stato in quel momento, toccandole con mano, che mi sono ricordata del giorno del “ritrovamento” e immediatamente e mentalmente, ho composto per sommi capi questo post.
Se difatti è passato un po’ di tempo è unicamente perché per rendere il lavoro completo, avevo bisogno di un supporto iconografico che potevo reperire soltanto tornando a Ferrara.

Non sempre ciò che scriviamo deve avere una motivazione, una spiegazione logica. Questo post è stato infatti il mio modo personale di fare memoria di certi avvenimenti del passato e di ricordare mio nonno e dunque, come direbbero gli inglesi, la conclusione migliore è:


In the loving memory of my Grandpa


Dipinto da Alfredo Bergamini, fratello di mio nonno Giannetto

domenica 8 febbraio 2015

Quattro mani e uno pseudonimo per una serata noir

Mi sono sempre domandata come si fa a scrivere a quattro mani. Mi immagino litigi, prevaricazioni, divergenze, ritardi nella consegna, diversi punti di vista, diversi valori, diverse esperienze di vita. E se poi si tratta di una coppia amorosa, la cosa si complica ancora di più secondo me. O forse è vero che l’amore non è bello se non è litigarello!?? Sta di fatto che l’altro giorno ho avuto conferma che a quattro mani si può generare successo. Una coppia, uomo e donna, marito e moglie, scrittore lui, scrittrice lei, con un passato lavorativo personale ma ora accomunati da un nome e cognome ben identificato seppur frutto della loro fantasia. Lo pseudonimo Lars Kepler ha all’attivo cinque romanzi, un Bestseller e migliaia di copie vendute in tutto il mondo ed ora entrano a far parte della rosa degli scrittori svedesi che stanno riempendo i ripiani della nostra libreria. Inutile ricordare le “mie origini” svedesi, il legame con questo popolo, la conoscenza della lingua, l’affiliazione non forzata di mio marito che fin dal nostro primo anno di fidanzamento si è innamorato di questo paese, le tradizioni tramandate e ben presenti in casa nostra, il possesso della tessera Ikea Family che anche a Milano mantiene vivo un certo tipo di rapporto.
E nel caso specifico di questo racconto l’Ikea è parte dei giochi perché è grazie al tesseramento e all’iscrizione alla sua newsletter che sono venuta a conoscenza di un evento che stava organizzando nel negozio di Milano Carugate.
Io non sono amante delle newsletter, il più delle volte le cestino senza neanche aprirle, ma il titolo “Una serata all’insegna del mistero firmata Lars Kepler” e l’invito a partecipare alla “Caccia al delitto” in negozio, ha subito catturato la mia attenzione. Sicuramente perché amo leggere romanzi gialli e noir, sicuramente perché in questo periodo sono alle prese con i giallisti svedesi, ma soprattutto perché è già da due anni che dico a mio marito che vorrei partecipare a una “Cena con delitto” in villa ma purtroppo non c’è ancora stata occasione.
Pertanto mi sono ripromessa di chiedere a mio marito se gli andava bene partecipare. Tuttavia me ne sono dimenticata e quando lui per puro caso ne ha letto notizia sul giornale, in un certo senso era già troppo tardi. Troppo tardi per iscriversi alla serata. Ma siccome ci siamo rimasti entrambi male, abbiamo comunque mandato l’email di iscrizione fuori tempo massimo. E una volta tanto ci è andata bene.
Confermata la partecipazione alla serata con indizi (parlavano di “Caccia al delitto” ma in realtà il delitto devono esserselo dimenticato), ricevuto uno sconto del 15% per acquistare il romanzo “Nella mente dell’ipnotista” e confermato il meet & greet con Lars Kepler, autore del romanzo in questione, abbiamo scombinato i nostri progetti per la serata per dedicarci a questo.
Arrivati nel negozio, dopo un velocissimo “pit stop” per acquistare il romanzo nella libreria del centro commerciale Carosello presso la quale era valido il buono sconto, sono rimasta sorpresa nel vedere che la comunicazione dell’evento aveva raggiunto un discreto numero di consumatori e dunque partecipanti. Ma la perfetta organizzazione non ci ha fatto perdere tempo e muniti di una mappa del percorso da fare e 6 quesiti ai quali dare risposta secondo gli indizi indicati su dei cartellini appesi all’interno dello spazio espositivo (a loro volta segnalati da una macchia rosso sangue sul pavimento), abbiamo iniziato il gioco.
Svolgendosi in una serata infrasettimanale non c’era problema di “circolazione” fra le corsie del negozio solitamente invase da persone e non avendo un tempo massimo per risolvere il gioco, avremmo avuto tutto il tempo per portarlo a termine, ma in queste cose a mio marito scatta lo spirito competitivo e quindi in 15 minuti abbiamo finito. Risposto brillantemente ai quesiti (con numeri) e risolto l’anagramma delle lettere che componevano la soluzione finale (nonostante fosse stato sottratto un cartello che per un attimo ha bloccato noi e anche gli altri partecipanti), siamo andati a consegnare i nostri fogli nella zona ristorante dove in cambio ci hanno dato come premio delle ciabatte nere legate con del nastro giallo “crime scene do not cross” ad una sagoma di cartone a forma di casa.
A questo punto non ci restava che attendere Lars Kepler per il meet and greet e l’ora di tempo a nostra disposizione l’abbiamo impiegata mangiando svedese e riflettendo sulla buona riuscita di questa operazione di marketing: bella idea, ottima organizzazione, consumatori in negozio in un giorno lavorativo e l’incontro con un autore svedese da bestseller.
Anzi, scusate, con i due autori: all’anagrafe Alexander Ahndoril e Alexandra Coelho Ahndoril
Quando è stato il nostro turno, io mi sono presentata in svedese. A loro non sembrava vero di poter parlare liberamente la propria madrelingua e anche l’interprete che l’Ikea aveva messo a loro disposizione, si è potuta rilassare un attimo. Non c’era il tempo di fare tante chiacchiere essendoci parecchia gente pronta a salutarli e a congratularsi con loro, ma sono comunque riuscita ad apprezzare la loro disponibilità facendomi fare una dedica sul romanzo, scoprendo che lei ha la mamma portoghese (da cui il cognome Coelho) ma che la lingua l’ha dovuta imparare da autodidatta e da adulta (ed è stata tanto carina da farmi i complimenti per il mio svedese) e facendo loro una foto insieme a mio marito che a sua volta l’ha scattata a me.
Quindi avendo ora il loro quinto romanzo autografato doppiamente Lars Kepler, non mi/ci resta che procurarci i quattro precedenti per poterli leggere in ordine cronologico.
Che poi nel frattempo si è fatta strada un’altra questione.
Mio marito mesi fa mi ha chiesto di scrivere un pezzo a quattro mani su un argomento più caro a lui che a me, ma pur sempre condivisibile. Che dite, ci inventiamo uno pseudonimo e facciamo partire il cronometro della sfida?




giovedì 5 febbraio 2015

Ti compro che ti organizzo che ti riciclo

Ditemi la verità: anche voi avete la cassetta per la pubblicità appesa al cancello o al muro esterno di casa vostra? E da quando c’è, sperate anche di difendervi meglio dallo spamming cartaceo?
Io non l’ho mai avuta nemmeno quando vivevo in una casa monofamiliare. E’ vero, quotidianamente la posta “spazzatura” fuoriusciva dalla cassetta con il rischio di perdere la posta vera, però a dirla tutta per me la pubblicità non è mai stata un vero impiccio.
E non solo perché può effettivamente risultare utile consultare i volantini pubblicitari per comparare i prezzi di più punti vendita e approfittare di sconti, offerte e promozioni.
No, quella dei volantini è una delle mie più inconsuete passioni tanto che quando li vedo spuntare dalle cassette degli altri condomini devo sempre trattenermi dal non portargliene via qualcuno. E ad essere sincera spesso lo faccio.

Mi autorizzo da sola sapendo che per la maggior parte delle persone è “spam”.
Alla sera sono capace di rientrare a casa con in borsa due o tre volantini che poi in automatico finiscono sulla pila di quelli raccolti durante la settimana. Li guardo, anche con interesse, mentre faccio colazione o durante la pausa caffè nei fine settimana e poi, segnati su un foglietto gli acquisti che vorrei fare, se ce ne sono, li butto immediatamente nel cestino della carta.
Si prende, si consulta, si elimina. Tre mosse l’una conseguenza dell’altra. Molto logicamente.
Un giorno mi sono domandata come mai adoro i volantini. In fondo sono una forma di pubblicità dell’esercizio commerciale in questione e fra l’altro li raccolgo anche se non mi serve per forza qualcosa. Altrimenti, se così fosse, avrei una casa-magazzino dell’elettronica e una scorta trimestrale di prodotti alimentari da consumare a rotazione per evitare il deterioramento.
Pertanto sono arrivata alla conclusione che questa passione dev’essere conseguenza logica di un’altra passione e cioè quella per lo “shopping” in generale. Qualcuno strabuzzerà gli occhi ma a me rilassa.
Mai avrei pensato di fare un’affermazione del genere quando avevo 8 anni e mia mamma mi trascinava nei vari negozi e centri commerciali e io passavo il tempo a cercare sedie e panchine su cui annoiarmi per delle ore.
Però si vede che qualcosa è rimasto ed eccomi qui, adulta, che adoro andare nei vari esercizi commerciali. Magari non compro nulla (almeno non subito) ma adoro girare fra le corsie, confrontare prodotti, consultare i prezzi, le offerte e guardare le novità.
Comunque il mio “negozio” preferito resta il supermercato e così il relativo volantino.
Tant’è vero che quando so che devo andare a fare la spesa, seppure dopo il lavoro, sono contenta (tranne durante il periodo pre-natalizio in cui i negozi strabordano di esseri umani a qualunque ora del giorno e diventa impossibile godersi il momento di relax).
Mi presento quindi nel negozio munita di lista della spesa che ho scrupolosamente preparato durante la settimana precedente ma mai succede che esca solamente con le cose che mi ero prefissata di comprare. Ci scappa sempre il prodotto in offerta che all’improvviso ti ricordi che potrebbe servire o anche qualcosa che non è scontato ma ha catturato la mia attenzione. Che poi, andarci affamati, è la cosa peggiore che si possa fare. Compreresti tutto o quasi tutto. E così fai anche il “gioco del marketing” del negozio in questione.
Ma questo non compromette il mio stato d’animo perché la gioia la provo anche durante lo shopping, quando, con l’auto carica, ritorno verso casa e al momento di dover sistemare gli acquisti.
Chiaramente sistemo la spesa dando priorità ai prodotti freschi che vanno congelati o riposti nel frigorifero e a ruota continuo con gli altri. Dedico cura e attenzione ad ogni singolo prodotto affinché venga conservato e collocato correttamente. Come dicevo nel post precedente, prima di tutto l’ordine. Ma poi non finisce qui. Perché è vero che amo fare la spesa e mettere in ordine, ma proprio perché voglio che tutto sia perfettamente organizzato, mi serve spazio e allora a cosa mi servono tutti quei contenitori di cartone e gli imballaggi di plastica? A nulla, e anzi, proprio come il disordine, disturbano la mia vista. Per cui scatta in automatico il processo di cui parlavo alla fine dell’ultimo post: spesa – ordine – rifiuti – raccolta differenziata – di nuovo ordine.
Ovviamente per poter esaurire questa “catena” di azioni è stato necessario organizzare la mia personale “raccolta differenziata dell’immondizia”, procurandomi un bidone per ogni tipologia di rifiuto (prima dell’avvento della raccolta differenziata mi divertivo ugualmente  nel buttare tutto in un unico secchio). Non saranno colorati come quelli che si vedono in strada, ma per non perdere la mia qualifica di “precisina”, sono stati chiaramente etichettati. C’è il bidone della plastica; quello destinato alla raccolta del vetro; un altro deputato alla raccolta dell’indifferenziato che, da quando è stata introdotto l’obbligo della differenziazione dei rifiuti, difficilmente si riempie; uno scatolone di cartone (per restare in tema) per la carta e infine, dal 2014, un bidoncino per raccogliere i rifiuti organici.
E puntualmente io e mio marito ci alterniamo per andarli a svuotare nei bidoni condominiali. E così facendo il cerchio si chiude e l’ordine viene ripristinato!
Sicuramente non sottovaluto i problemi ecologici e di difesa ambientale, nonché il risparmio delle materie prime che sono poi stati il punto di partenza per cominciare ad educare i cittadini al corretto smaltimento della spazzatura e al riciclo e devo dire che mi diverte anche sapere esattamente in quale contenitore vanno gettati i vari rifiuti (secondo me sono stata una delle prime a scaricare l’App dell'Azienda Milanese dei Servizi Ambientali creata ad hoc), però devo dire che quella “mania” che ho di buttare via il superfluo che ingombra e “indispone”, va oltre a tutto ciò ed è frutto di una passione connaturata che ha origini più lontane.
Sì, parlo di passione e non di ossessione perché non c’è nulla di patologico nel voler gettare imballaggi e contenitori che fanno volume. Semplicemente mi sento sollevata nel farlo.
Mio marito invece scuote la testa e si sente “perseguitato” da questa mania che, guarda caso, prima di vivere con me ha vissuto con suo padre.
Ma se il mio è un disturbo compulsivo-ossessivo, il suo, che va nella direzione esattamente opposta, come lo vogliamo definire?
Perché così come io sono ordinata e lui disordinato, anche in questo caso siamo agli antipodi. Lui conserva, non butta via nulla, si accaparra oggetti, tanti e inutili e così facendo non mi sembra che sia poi così diverso da me. Sì, all’opposto, ma pur sempre “maniacale” a modo suo.
Quindi credo che a casa nostra la lotta fra ordine e caos; rifiuti e conservazione non avrà mai fine, tenendoci diversamente schierati ma anche attivi e appassionati nei nostri battibecchi.
D’altronde sono sicura che anche voi davanti alla domanda “Conosci o hai conosciuto qualcuno la cui vita è condizionata da un accumulo eccessivo di oggetti/dal desiderio di eliminare gli oggetti inutili?”, siete in grado di indicare almeno una persona. 







domenica 1 febbraio 2015

Parola ... d'ordine

L’idea di questo post ce l’ho ormai da tanto tempo  ma sono veramente mesi che non trovo il tempo (e la pace, diciamocelo) per scriverlo.
In parte è colpa della mia nuova passione creativa che mi impegna il poco tempo libero che ho (per capire di cosa parlo, date un’occhiata qui: http://it.dawanda.com/shop/CarMa-Cards-and-Crafts), dall’altra col matrimonio è cambiato ulteriormente lo stile di vita, così come certe priorità.
Ma la passione della scrittura non tramonta e oggi ho deciso che i tempi sono maturi per riprendere!

Sono vent’anni che ascolto Radio Monte Carlo e per me non esiste nessun’altra radio. Ai tempi della scuola e dell’università la ascoltavo alla mattina mentre facevo colazione, mentre ora è il mezzo di comunicazione principe mentre sono al volante. Sono sei anni che vivo a Milano e al lavoro ci vado per l’appunto in macchina. Col traffico che c’è, ci passo almeno mezz’ora e questo significa che mi posso ascoltare in santa pace il programma che inizia alle 8 e termina un’ora dopo quando io sto praticamente arrivando in ufficio.
Purtroppo o per fortuna ogni anno il programma è diverso. Cambia lo speaker o gli speaker (spesso e volentieri sono in tre), cambia  lo stile di conduzione e di conseguenza anche gli argomenti.
Di solito lo stile è sempre leggero, allegro, oserei dire goliardico, però indubbiamente, avendoli ascoltati un po’ tutti, anch’io ho le mie preferenze.
Quest’anno il morning show è condotto da Massimo Valli e Marco Porticelli, che ci raccontano con semplicità e simpatia notizie, approfondimenti e curiosità.
L’altra mattina quando sono partita in auto per andare al lavoro ho sentito che parlavano dei “precisini” e che chiedevano come sempre un feedback sull’argomento agli ascoltatori.
Come spesso capita, la selezione che hanno fatto dei messaggi arrivati in redazione, mi ha strappato qualche risata.
C’era il ragazzo che cercava ragazza precisina per mettere in ordine la cabina armadio; la ragazza che raccontava di sua mamma che le ha fatto bere un’acqua frizzantissima per anni perché le piacevano le bottiglie blu notte che si intonavano con la cucina; l’uomo che ha diligentemente finito tutto quello che un amico gli aveva messo nel piatto senza rendersi conto che era cibo per gatti e la donna che raccontava di essere uscita con un uomo che ogni volta che andava alla toilette, puliva tutto con il disinfettante. E così tanti altri che ora non ricordo.
Ridevo sia per come li hanno proposti, sia per le varie testimonianze e in cui… mi sono perfettamente ritrovata!
Matassine colorate
suddivise per colore all'età di 17 anni
e ritrovate l'altro giorno
Sì, perché io sono una precisina. Obiettivamente sono sempre stata ordinata e precisa, ma ammetto di essere “peggiorata “ con gli anni. La mia precisione a volte è davvero maniacale, ma assolutamente non premeditata.  E’ che mi dà fastidio vedere gli oggetti fuori posto. E’ un fastidio per la mia vista.
Mi hanno sempre detto che essere ordinati è un pregio e che sicuramente è una forma mentis, però quando ai colloqui mi hanno chiesto di elencare tre pregi e tre difetti, la parola “precisione” l’ho sempre elencata sia come positività che come negatività.
Col tempo ne ho preso coscienza.
E’ che per me ogni cosa ha la sua collocazione cosicché la mia vista non risulti “disturbata”  e la possa ritrovare in qualunque momento, trattandosi di oggetti inanimati.
La “giusta collocazione” è per me l’addendo che sommato a “il giusto contenitore” dà come risultato la parola “organizzazione”.  Dal macro ambiente al micro. Per intenderci: dalla casa ai mobili; dal singolo scaffale, ripiano, cassetto ai recipienti in essi contenuti.

E oggigiorno di soluzioni che uniscono praticità ed estetica ce ne sono tante. Basta che vada a fare un giro all’Ikea e mi vedi tornare a casa con almeno un contenitore nuovo. E non parlo solo di scatole per abiti che permettono  di tenere in ordine calze, cinture e la biancheria nel guardaroba e nei cassetti. No, parlo anche dei contenitori  pensati per organizzare CD, giochi, caricabatteria o accessori da scrivania e anche dei barattoli per contenere e conservare i prodotti alimentari.

A casa mia tutto è perfettamente inscatolato e… etichettato. Da quando ho scoperto la Dymo, l’etichettatrice per eccellenza, ho anche pensato bene di dare un nome a queste scatole che in apparenza sembrano tutte uguali. Il nome che ne indica il contenuto.

Sembra il piano di un folle, ma vi assicuro che per una precisina questa è la normalità. Si vive bene solo quando tutto è in ordine!

E invece c’è chi sostiene il contrario e quotidianamente esprime il suo disappunto. Verbalmente ma soprattutto visivamente. E così mi ritrovo a convivere con il disordine, anzi, chiamiamolo pure caos. E siccome il mio è proprio uno stile di vita, il litigio ci scappa senza esitazioni.
Tu spiegami che cosa ci fa un portafoglio appoggiato su un portavasi per ore e ore? E i vestiti appallottolati sulla sedia quando hai un armadio 3x2 metri? Per non parlare dell’accumulo di scontrini fiscali ormai illeggibili perché il tempo li ha consumati…
Fra l’altro, parlandoci chiaramente, la “fatica” che si fa nell’appoggiare il portafoglio fuori posto è la stessa che si fa nel metterlo nella tasca del giubbotto oppure nel cassetto. O sbaglio? E allora concedetemi di dire che per me il caos è proprio inconcepibile e incomprensibile.
Però una piccola soddisfazione l’ho ottenuta! Le famose etichette di cui parlavo prima, sono servite! E anche se in maniera più “sottile”, sono anch’esse un modo per indirizzare il comportamento altrui verso un modo di vivere più organizzato, preciso e… “differenziato”.

E a proposito di “differenziato”, va da sé che anche la raccolta dei rifiuti viene effettuata scrupolosamente e in maniera ordinata. Ma su questo ci ritorno nel prossimo post, perché non è frutto della mia fantasia che i seguenti “elementi” siano uno conseguenza logica dell’altro: spesa – ordine – rifiuti – raccolta differenziata - ordine